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Gli schiaffi del Cairo all’Italia che non sa farsi rispettare

Pubblicato il 03/07/2020 - Il Piccolo

“Ve l’avevamo detto”, potranno ora dire, senza timore di smentite, Paola Deffendi e Claudio Regeni, dopo i due schiaffi rifilati in rapida sequenza dalle autorità egiziane a loro e al nostro Paese.

C’è stata anzitutto l’indecorosa restituzione dei presunti effetti personali di Giulio, ovviamente fasulli come il raid che nel 2016 la polizia egiziana compì in tutta fretta ai danni di cinque criminali egiziani qualsiasi accusati – in uno dei tanti depistaggi in cui il Cairo ha dimostrato di essere maestro – di essere gli assassini del ricercatore e tra i cui oggetti una “manina” dell’intelligence infilò quegli effetti personali posticci. Si ripete insomma la solita farsa, proprio come la cooperazione giudiziaria tra le Procure di Roma e del Cairo che mercoledì, dopo un anno e mezzo di stop, è stata riattivata con un vertice a distanza che, parola del nostro premier Giuseppe Conte, avrebbe dovuto rappresentare “un nuovo inizio”. E invece, il confronto tra le due Procure si è rivelato di nuovo un infame atto dilatorio che non soddisfa alcuna delle richieste formulate da  tempo immemorabile dai magistrati italiani, inclusa la rogatoria inviata nell’aprile dell’anno scorso che rimane senza risposta.

A fronte di tanta cortesia da parte del nuovo procuratore del Cairo Elsawi nei confronti del suo collega Michele Prestipino, a quest’ultimo sono state riservate solo una sfilza di micidiali offese che fanno sanguinare il cuore dell’Italia ancor prima che quello dei genitori di Giulio. Come tollerare, ad esempio, le quattordici richieste fatte da Elsawi a Prestipino volte ad appurare il reale motivo della presenza di Regeni al Cairo, quando era stato il suo predecessore a togliere di mezzo questo argomento pretestuoso sostenendo che “Giulio era un portatore di pace”? Come interpretare poi la nota finale del procuratore egiziano quando afferma che “le richieste (Italiane) sono allo studio per le relative risposte alla luce della legislazione vigente?” se non come una imbarazzante (per noi) presa per i fondelli? E infine, la nota più dolente di tutti: come accettare, senza perdere la nostra residuale dignità, il rifiuto egiziano di adempiere ad una formalità decisiva per l’istruzione del processo quale il rivelare gli indirizzi dei cinque agenti della National Security di cui una sfilza di testimonianze hanno messo a nudo le responsabilità nel sequestro, la tortura e l’assassinio di Giulio?

A questo punto dovrebbe risultare chiaro anche all’ultimo italiano che tutte le linee politico-diplomatiche che il nostro Paese ha adottato per convincere l’Egitto a collaborare, da quella dura del ritiro dell’ambasciatore a quella speculare della vendita di sofisticato equipaggiamento militare, sono fallite e la verità su quel che è successo al Cairo tra il dicembre 2015 e il gennaio 2016 resta a una distanza siderale.

Rimane in piedi solo l’ipocrisia e un senso di amarezza che, oltre che ai genitori di Giulio, fa assai male ad un Paese che si scopre ancora una volta incapace di farsi rispettare.

EgittoGoverno italianoIl PiccoloRegeni Giulio
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