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La banalità del terrore

Pochi giorni fa, l’intelligence tedesca è entrata in possesso di una documentazione formidabile sui combattenti dello Stato islamico. Si tratta di 22.000 schede di adesione al gruppo jihadista. Risalgono ad un periodo compreso tra il 2013 e il 2014 e sono state compilate dalle autorità di confine, segno che la registrazione ha avuto luogo quando i volontari passavano la frontiera con la Siria. Gli aspiranti mujaheddin censiti vengono da oltre 50 paesi e non mancano gli occidentali. Nella loro domanda, i candidati dovevano rispondere a 23 domande, che vanno dalle informazioni essenziali (luogo di nascita, formazione, occupazione, numero di telefono proprio o dei familiari) a elementi più rilevanti quali la persona che li ha raccomandati, la conoscenza della shari’a, il “livello di obbedienza” e la disponibilità a spendersi in operazioni di martirio. Questo immenso data base sarà di grande utilità per le varie intelligence, che hanno peraltro già individuato alcuni soggetti precedentemente noti. Le informazioni potranno essere usate per impedire ai foreign fighters di varcare impunemente i confini europei e replicare exploit come quello di Parigi, o essere usate nei tribunali per condannare individui di cui non sono precisamente note le attività condotte nel Siraq. Soprattutto, esse ci offrono l’immagine di una organizzazione criminale che deve necessariamente ricorrere agli ordinari metodi della burocrazia per assemblare una macchina di morte. È la conferma che lo Stato islamico è ben più che una pericolosa formazione terroristica, ma un moloch che adotta metodi sofisticati per pianificare la propria strategia.

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