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Convengono intese con l’Egitto

Pubblicato il 18/02/2020 - Italia Oggi

Il caso delle Fremm in vendita all’Egitto ha fatto molto clamore, ma per la ragione sbagliata. Più che per l’incoerenza sul caso Regeni, ma anche degli stessi euro che confluiranno nelle casse di Fincantieri (gruppo Cdp), a rendere interessante la vendita delle nostre fregate al Cairo è il calcolo strategico ed economico che vi è a monte.

Un calcolo che, per Carlo Pelanda, è chiaro come il sole: per l’analista, saggista e docente di Geopolitica economica all’Università Guglielmo Marconi, l’Egitto rappresenta un partner indispensabile per l’Italia non solo in qualità di pilastro del sistema di sicurezza nel Mediterraneo (da cui il duplice beneficio, per noi, di vendergli sistemi d’arma costosi e all’avanguardia) ma anche in quanto nodo di una rete di interessi soprattutto energetici da cui noi, e l’italiana Eni in particolare, non possiamo prescindere.

Pelanda svela anche molto altro. A partire dalla sua convinzione che la repentina svolta filo-egiziana di Roma, in realtà non sia stata affatto repentina, ma sia il frutto di una relazione bilaterale riservata pienamente funzionante anche nei momenti di massimo scontro sul caso Regeni, e soprattutto dell’affiancamento che i nostri servizi segreti e i top manager delle nostre industrie fanno nei confronti di leader politici che non spiccano per acume geopolitico.

D. Partiamo dalle Fremm. Pensa anche lei, come il quotidiano francese La Tribune, che sia stato uno «schiaffo» a Macron?

R. Naturalmente sì, ma è uno schiaffo che va spiegato. Proprio come Mosca, Parigi sta tentando di inserirsi nel contesto libico offrendo al Cairo il ruolo del protettore. Il punto però è che l’Egitto, e il presidente al-Sisi in particolare, hanno già ha un protettore che si chiama Arabia Saudita. Alla quale l’Egitto non può ribellarsi: ricordiamo che Riad ha finanziato il golpe del 2013 con miliardi di dollari, che ora i Saud rivogliono indietro. Oltre a questo, va ricordato che ad esercitare influenza sull’Egitto ci sono da un po’ di tempo a questa parte anche gli Emirati Arabi Uniti, che stanno sempre più assumendo la leadership politica, tecnologica e militare nel mondo arabo. Ebbene, se quel che fa e decide Sisi dipende da Riad e da Dubai, e se Sisi scarica Parigi per acquistare le fregate in Italia, ne dobbiamo dedurre che Macron e la Francia non siano visti di buon occhio da quelle parti e che ci si fidi meno di lui che dell’Italia.

D. Lei dunque non è stupito affatto dell’affare Fremm.

R. Assolutamente no. Ricordo che la vendita di armi avviene sempre tra governo e governo. Ne consegue che la diplomazia italiana ha necessariamente concordato qualcosa con l’Egitto. Se fosse davvero così, io personalmente ne sarei ben lieto. È da tempo, infatti, che raccomando di puntare sull’Egitto come pilastro della stabilità nel Mediterraneo, e di scaricare pertanto Turchia e Qatar con cui non ha alcun senso essere alleati. A me, del resto, pare assolutamente ovvio con chi ci convenga stare: ossia con l’asse tra Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele, di cui l’Egitto è già un pilastro. In questo senso, è senz’altro meglio che l’Egitto abbia le nostre armi, che peraltro (se pensiamo in particolare alle Fremm) sono molto competitive.

D. Molti però non comprendono (per usare un eufemismo) la posizione del nostro Paese, che da un lato, con il presidente della Camera Roberto Fico, rompe i rapporti con il Parlamento del Cairo per il caso Regeni, e dall’altro vende armi al regime che ha torturato e ucciso il ricercatore friulano.

R. Il caso Regeni ovviamente è problematico, come lo è quello dello studente egiziano dell’Università di Bologna che è stato arrestato nei giorni scorsi. Questi episodi, tuttavia, spingono i nostri politici ad adottare un approccio moralistico alla politica che davvero poco ha a da spartire con la natura necessariamente pragmatica, improntata cioè alla realpolitik e dunque alla tutela degli interessi nazionali, delle relazioni tra gli Stati. La politica veramente professionale separa i due aspetti. E infatti noi con l’Egitto (con cui, lo vorrei rimarcare, non abbiamo mai avuto pessime relazioni) abbiamo uno splendido bilaterale riservato.

D. Sulla Libia però l’Egitto è su posizioni decisamente divergenti dalle nostre.

R. La verità, in questo caso, è molto diversa e mi spiego subito. Si parla tanto dei pozzi libici a rischio, ma nessuno ricorda che l’Eni ha una presenza dominante in tutto il Mediterraneo Orientale proprio grazie ai buoni rapporti con l’Egitto. È facile immaginare, pertanto, che l’Eni avrà raggiunto dietro le quinte un accordo con gli egiziani che le permetterà di tutelare le proprie posizioni in Libia. La conclusione ovvia è che a noi non può e non deve interessare chi comandi in Libia. Le uniche due cose che contano davvero, per l’Italia, sono che la Libia ci garantisca tanto il controllo dei flussi migratori quanto gli interessi energetici residui che abbiamo nel paese, soprattutto per quanto riguarda il gas. Ad ogni modo, per tornare all’Egitto, non sono certo il greggio o il gas libici il fattore più importante in questa partita.

D. E quale sarebbe?

R. Le faccio un esempio: se a un certo punto bisogna mandare delle navi militari nel Mediterraneo orientale per contrastare la presenza militare turca, chi lo fa? La Francia il mese scorso ha inviato la propria portaerei, ma questo a noi non conviene. A noi conviene semmai che sia l’Egitto a mandare le propri navi a presidio del Mediterraneo orientale, cosa che tra l’altro farebbe contenta anche Israele. Vendendo all’Egitto le Fremm stiamo dunque facendo un doppio se non un triplo affare. È un affare peraltro anche per Sisi, visto che le Fremm italiane sono fatte meglio di quelle francesi.

D. A proposito di armi, affari e sgarbi a Macron, pare o no profilarsi all’orizzonte un altro colpo da maestro (o gobbo), ossia convincere Sisi a rinunciare ai Rafale, facendogli acquistare invece gli F-35?

R. Qui le opportunità per l’Italia sono addirittura due: vendere al Cairo gli F-35, che sarebbero poi assemblati nello stabilimento Leonardo di Cameri, oppure vendergli gli Eurofighter. A noi, naturalmente, converrebbe di più vendere il secondo. Il problema è che in Egitto conta ancora molto quel che pensano a Washington. E gli americani sarebbero ovviamente ben contenti di vendere all’Egitto gli F-35, specialmente dopo che la Turchia è stata espulsa dal programma F-35. Ritengo dunque più probabile, e francamente lo spero, che l’Egitto alla fine acquisti e faccia assemblare a Cameri i caccia della Lockeed Martin, e magari acquisti da noi anche tutto il pacchetto che include l’addestramento dei piloti, la manutenzione e tutto il resto.

D. A questo punto emerge un interrogativo: se è così chiaro dove stanno i nostri interessi nazionali, come mai non ci siamo svegliati prima?

R. La politica titubante dei vari governi italiani in Libia si spiega con una parola sola: Qatar. Oltre ad essere un investitore di tutto rispetto, il Qatar è un compratore di armi italiane. Roma ha avuto quindi, comprensibilmente, una certa riluttanza a scaricare il premier di Tripoli Fayez al-Sarraj, di cui Doha (insieme ad Ankara) è il protettore.

D. Dunque la svolta in fieri della politica estera italiana sarebbe frutto di una sorta di manovra extraparlamentare?

R. Possiamo anche usare questa espressione se preferisce. D’altro canto, visto che i politici italiani non svettano in acume, sono sempre accompagnati anzitutto dai nostri servizi segreti, e poi dai manager delle grandi aziende, che non lasciano i politici da soli a fare danni. Lo stesso ministro Luigi Di Maio si muove sempre col n. 1 dei servizi segreti. E infatti la nostra politica estera è molto migliorata negli ultimi tempi proprio perché i nostri servizi e i nostri top manager hanno spiegato ai politici in cosa consistano i nostri interessi nazionali e come fare per tutelarli o, se non altro, non danneggiarli irreparabilmente.

© Riproduzione riservata

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