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Dopo il ciclone americano l’Europa è più sola

Pubblicato il 18/07/2018 - Il Piccolo

Il viaggio europeo di Donald Trump ha trasformato in realtà il timore dei più: quello di una erosione dell’Occidente e dell’ordine mondiale liberaldemocratico che ne è stata la cifra distintiva. Le bordate sferrate dal tycoon prima e durante il summit Nato di Bruxelles della settimana scorsa, e l’afflato amoroso con Putin al vertice di Helsinki di lunedì, vanno letti in sincrono. Sono le avvisaglie del cedimento di quel sistema euroatlantico che ha garantito pace, sicurezza e benessere per settant’anni e che è ora insidiato dall’interno dal pifferaio del populismo mondiale insediato alla Casa Bianca. A Bruxelles, Trump era chiamato a rassicurare gli alleati sull’intenzione americana di continuare a considerare l’Alleanza Atlantica come principale baluardo dell’Occidente, e di usarla per tenere testa al comportamento aggressivo russo, ben simboleggiato dalla fagocitazione della Crimea, dall’appoggio ai separatisti ucraini del Donbass e dall’uso disinvolto delle cyber-armi. The Donald ha però preferito assecondare i suoi istinti gettandosi in un’inaudita polemica sull’Europa “nemica” a causa dello squilibrio commerciale con l’America e del suo magro bilancio militare. Gli europei, ha affermato a più riprese Trump, approfittano del “salvadanaio” statunitense per assicurarsi la propria difesa e derubare gli americani con le loro politiche mercantilistiche. Del tutto assente, dalla retorica di Trump, il valore aggiunto dell’Alleanza come unione di Stati liberi che cooperano sotto un ombrello di regole comuni e si compattano per fungere da deterrente contro possibili minacce esterne. Idem per la teoria del mercato aperto come volano di crescita e di maggiore occupazione per tutti i paesi che vi aderiscono. Non sono i benefici a lungo termine, ad interessare il presidente Usa, ma ciò che può ottenere hic et nunc. Ecco dunque la richiesta agli alleati Nato di innalzare le spese militari fino a raggiungere il tetto concordato al vertice del Galles del 2014 (2% del Pil). E la sollecitazione agli europei, effettuata tramite l’introduzione di dazi e la minaccia di altri a seguire, a riequilibrare gli scambi con gli Stati Uniti alleviandone il deficit commerciale. Non che le richieste di Trump siano sbagliate: l’Europa eleva ancora dazi superiori rispetto a quelli vigenti negli Usa, e il rafforzamento della Nato è anzitutto nell’interesse del Vecchio Continente, esposto ai suoi confini orientali alla risorgente politica di potenza russa. Ciò che lascia perplessi, nel comportamento di Trump, sono i metodi e i toni. Si è detto che le minacce del presidente agli alleati rappresentano niente altro che una tecnica negoziale, retaggio di una lunga carriera da re degli immobiliaristi. Ma hanno anche l’effetto di minare la stabilità di un’alleanza che, oltre che di scambi commerciali e di esercitazioni militari congiunte, vive di rapporti politici improntati alla fiducia. Quella fiducia che le effusioni tra Trump e Putin al vertice di Helsinki hanno senz’altro fatto vacillare. Come dimostra il summit di Singapore con Kim Jong-un, è difficile sfuggire all’impressione che The Donald si trovi più a suo agio con un dittatore che con i leader di Paesi democratici. Se poi questo feeling si sviluppa con un uomo come Putin che mira esplicitamente a dividere l’Occidente, il Vecchio Continente ha più di una ragione per essere preoccupato. Dopo il passaggio rutilante di Trump l’Europa si ritrova più sola, alle prese con un alleato, gli Usa, sulla cui fedeltà è lecito dubitare e con un nemico, la Russia, che non tarderà ad approfittare dell’indebolimento dell’asse transatlantico.

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