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Far cadere Mosul non basta

Pubblicato il 24/03/2017 - Messaggero Veneto

Sono le 14.40 quando sotto il Big Ben scocca l’ora del jihad. Un uomo a bordo di un suv percorre a gran velocità il ponte di Westminster, travolgendo numerosi passanti. La sua corsa si interrompe con uno schianto sulla cancellata del Parlamento. L’uomo esce dall’auto e si dirige verso l’ingresso. Raggiunto da un poliziotto, lo pugnala a morte. Altri agenti a quel punto gli sparano, neutralizzando la minaccia. Il bilancio è pesante: quattro morti, compreso l’assalitore. È la conta tragica dell’ultimo episodio del jihad contro l’Occidente, lanciato più di tre lustri fa da al-Qaida e ora proseguito dallo Stato islamico. Una guerra che continua nonostante il califfato si stia sgretolando sotto l’offensiva delle forze di coalizione. Il tramonto della grande utopia dell’islam radicale non ne cancella infatti la volontà di trafiggere i nemici, possibilmente a casa loro. Attacchi da mettere a segno secondo le istruzioni diramate nel settembre 2014: colpire con qualsiasi mezzo, un coltello, una pietra, un veicolo. Sono gli ordini diramati da Mohammed al Adnani, stratega della propaganda jihadista. Comandi reiterati più volte cui hanno obbedito i famosi lupi solitari, coi quali lo Stato islamico può portare avanti la sua offensiva del terrore. I precedenti più vicini sono Nizza e Berlino, città funestate da analoghi attacchi nel luglio e a dicembre dell’anno scorso. In entrambi i casi, gli obiettivi avevano forte valore simbolico: i festeggiamenti del 14 luglio per Nizza, un mercatino di Natale per Berlino. Stavolta il jihad fai da te ha puntato ancora più in alto, seminando la morte presso il parlamento più antico della storia. Due piccioni con una fava: si colpisce una nazione impegnata nel contrasto allo Stato islamico e l’odiata democrazia, disconosciuta in quanto prodotto non islamico. L’attacco di mercoledì ci ricorda che la lotta al terrorismo non finirà con la caduta di Mosul o di Raqqa. Sempre mercoledì, a Washington, i delegati di 68 paesi si riunivano per discutere le operazioni contro il califfato. In agenda, oltre al coordinamento degli sforzi militari, i metodi per debellare l’insidioso avversario nel lungo termine. L’imminente caduta delle roccaforti dello Stato islamico potrebbe infatti aprire una lunga stagione di violenza in Occidente. I circa seimila foreign fighters con passaporto europeo o statunitense stanno tornando a casa. La loro missione in Medio Oriente è finita, e la loro preparazione militare, il sangue freddo e la volontà di vendetta potrebbero infierire sui Paesi di origine. I reduci del jihad siro-iracheno rappresentano la preoccupazione numero 1 delle nostre intelligence. Ma una minaccia non secondaria è rappresentata dal fronte virtuale di questa guerra senza limiti. Il pericolo viene dalla propaganda on line dello Stato islamico, che esorta i simpatizzanti, soldati semplici del jihad, ad entrare in azione. C’è anche un’altra minaccia che viene dal cyberspace: quella dei burattinai del terrore, che attraverso applicazioni di messaggistica forniscono istruzioni ai seguaci perché colpiscano nel modo più efficace. L’attacco di Londra non sarà l’ultimo segnale di vita della macchina da guerra messa in moto dall’ideologia jihadista. La quale ha stregato migliaia di musulmani, l’esercito invisibile del califfo. Impedirgli un nuovo exploit potrebbe essere impossibile.

EuropaGran BretagnaIsisjihadismoMessaggero Veneto
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