«Il dato più impressionante non è solo questo “zoccolo duro” del 15,9% di “contagiati dalla paura”, persone che hanno modificato più comportamenti quotidiani con particolare riguardo ai luoghi da frequentare o meglio da evitare, ma il 73% del campione che evita di viaggiare. – Commenta il sociologo Marco Orioles e prosegue – Infatti, gli avvenimenti di Parigi hanno due caratteristiche: il primo elemento è che i terroristi hanno colpito la capitale del turismo globale, la meta più gettonata dai globe trotter; il secondo elemento che è voluto dagli stragisti, è che a essere colpiti sono stati i luoghi frequentati dai giovani: caffè, ristoranti e una sala concerti. Questo ci rimanda alla missione dello studio del Censis, cioè indagare quali sono le conseguenze della Jihad nella sua strategia globale: insinuare nelle società occidentali non solo l’idea di essere degli obiettivi, di essere nel mirino, ma di poter essere colpiti proprio dove si manifesta la nostra socialità, la nostra voglia di vivere. Una strategia sopraffina di queste organizzazioni che comunicano con noi per metterci in ginocchio. Nei loro documenti che purtroppo circolano liberamente sui social network, è manifesta la volontà dei terroristi di colpire Roma, il Colosseo, il Vaticano. La cosa preoccupante è che i giovani che dovrebbero essere i più refrattari nel farsi soggiogare, cambiano il loro stile di vita facendo in questo modo il gioco dei terroristi. È palese che la Jihad globale non è iniziata il 13 novembre del 2015. Gli attentati dell’11 settembre 2001, sebbene lontani dalla memoria dei nostri giovani, hanno segnato quattordici anni e mezzo fa un’escalation nella strategia dei movimenti terroristici. Anche allora fu colpita una sede simbolo del turismo globale, New York». Marco Orioles, sociologo, uno dei massimi studiosi d’immigrazione e del fenomeno Islam in Europa, commenta per noi i risultati della ricerca del Censis “Le paure degli italiani al tempo della Jihad globale”, effettuata tra il 24 novembre e il primo dicembre 2015 su un campione di mille persone dopo gli attentati di Parigi, nella quale emerge che un esercito di 8,3 milioni di connazionali sono talmente terrorizzati che hanno stravolto le proprie abitudini quotidiane. I dati dell’indagine hanno inoltre stabilito che il 44% degli italiani ha un’opinione negativa della religione musulmana. «C’è una base oggettiva di pregiudizio degli italiani nei confronti dell’Islam dovuta anche all’atteggiamento contraddittorio che i musulmani contemporanei hanno nei riguardi delle società in cui si trovano a vivere. Anche se nati e cresciuti in Occidente, spesso hanno una mentalità conservatrice incompatibile con le mentalità consolidate occidentali. In Italia vi sono un milione e mezzo di musulmani che sono a cavallo tra la società italiana e una società che nemmeno esiste più», precisa Orioles, nato a Udine 43 anni fa, già docente negli atenei di Udine e Verona.

È come se gli attentati a Parigi “avessero instillato nel cuore degli italiani la convinzione che il pericolo viene anche dallo stile di vita e dal modo di gestire gli spostamenti”, hanno scritto i ricercatori del Censis. In questa “III Guerra Mondiale ma a pezzi”, come l’ha definita Papa Francesco, i terroristi dell’Isis costringendoci a modificare il nostro stile di vita (per esempio il 27,5% non prende più la metropolitana, il treno o l’aereo) hanno già vinto?

«Direi di no, cito la copertina di Charlie Hebdo una settimana dopo gli attentati dello scorso anno a Parigi che sbeffeggiava il colpo messo a segno dai terroristi. La copertina mostrava un parigino crivellato sì di colpi ma felice, perché aveva la sua coppa di champagne in mano a dimostrazione che non tutti erano disposti a farsi piegare: “Loro hanno le armi, noi lo champagne”. Attenzione però, i terroristi sanno benissimo come e dove colpirci, cito il comunicato di rivendicazione dello Stato islamico dopo l’attacco di Parigi che sottolineava di aver colpito la capitale della corruzione. I terroristi avevano colpito la movida, i luoghi del divertimento, Aver colpito una delle abitudini così tipiche di tanti giovani, cioè ritrovarsi la sera a sorseggiare un analcolico in compagnia della fidanzata… Purtroppo questa è la manifestazione di quello che è stato definito “lo scontro di civiltà”, che non è una definizione corretta per inquadrare i rapporti tra Oriente e Occidente ma è sicuramente un’espressione appropriata per definire la strategia con cui si vuole costruire questa collisione. L’ideologia dei terroristi non comprende solamente gli obiettivi da colpire con mezzi militari e paramilitari, si accompagna anche a una visione complessiva del mondo e delle condotte quotidiane. L’espressione corretta per definire l’ideologia dei terroristi è “jihadista salafita”, jihadista significa che si vuole condurre una “guerra santa” e far trionfare l’Islam come nell’era d’oro successiva a Maometto, “salafita” significa che si vuole far risorgere l’Islam nei tempi in cui era vivo Maometto, cioè restaurare una società risalente al VII Secolo. “Salafita” deriva da “salaf” i compagni del Profeta, considerati come modelli di condotta. Quanto di più distante dallo stile di vita di un occidentale che viene ignominiosamente definito “corrotto”».

Il 73% dei nostri connazionali evita di fare viaggi all’estero, in particolare in Paesi a rischio attentati, nel dettaglio più di tutti rinunciano i giovani tra i 18 e i 34 anni (il 77%). Ciò è anche dovuto al fatto che i terroristi hanno preso di mira il Bataclan, luogo frequentato prevalentemente da ragazzi?

«Certo, confermo la precisione scientifica con la quale vengono scelti gli obiettivi da colpire, pensiamo al recente attentato a Istanbul, che ha colpito la zona tra Santa Sofia e la Moschea Blu, nel cuore della Istanbul turistica. Sanno perfettamente dove colpire e quindi prevedono con lungimiranza gli effetti delle loro azioni e l’indagine del Censis dimostra che poi ci riescono. Cosa fare per evitare di rinchiuderci in casa e di farci soggiogare dalla strategia letale dei terrorismo. Per esempio non dare più risonanza a quei video costruiti con sofisticazione dallo Stato islamico perché è inutile nascondercelo, i terroristi hanno appreso il meglio delle nostre tecniche, del resto queste milizie sono composte da occidentali, da europei, da americani. Riconoscere il nemico è il modo più saggio per debellarne gli effetti perversi che vuole costruire nella nostra società che è anche la loro società. Nel bene o nel male i terroristi sono anche l’espressione della nostra società. Il fondamentalismo islamista è una reazione alla modernità, sono dei mostri generati dalla nostra società non perché ne siamo responsabili ma perche sono persone che non sanno resistere all’onda lunga della modernizzazione».

Lo studio indaga “le ragioni dell’onda populista che sta investendo le società europee”. Dunque il timore dell’altro, di chi è diverso da noi rischia di alimentare le derive populiste?

«Diciamo che l’Italia negli ultimi 15 anni ha visto quintuplicare la presenza straniera, siamo passati da un milione di cittadini stranieri che si registravano al passaggio del Millennio a oltre cinque milioni di cittadini stranieri giunti nel nostro Paese. La presenza degli stranieri si fa sempre più visibile nei nostri quartieri, nella vita quotidiana, questo genera delle reazioni, come avvenne negli Stati Uniti all’inizio del Novecento con l’arrivo in massa di emigranti, tra i quali molti italiani, ci furono episodi di xenofobia, ricordiamo l’episodio odioso di Sacco e Vanzetti. Se si supera una certa soglia di presenza straniera si manifestano ondate di rigetto, destinate a essere superate dall’esperimento della convivenza. C’è da dire che il populismo rappresenta una tentazione, viviamo da due anni in piena emergenza emigrazione con l’ondata dei rifugiati che hanno premuto alle nostre frontiere e con le tragedie dei Mediterraneo e con la rottura del “bon ton” diplomatico all’interno del Vecchio Continente dove abbiamo visto un vero e proprio scontro interno alla civiltà europea sul Schengen o non Schengen, accoglienza o non accoglienza. Questo non può non essere stato filtrato nella coscienza degli italiani che hanno visto ogni giorno una bagarre continua nei Tg nazionali relativamente agli scontri all’interno della nostra classe politica: accoglienza sì, accoglienza no. Questa emergenza non è destinata a scemare, le crisi da cui è originate sono ben lungi da essere risolte. Mi preoccupano inoltre gli effetti che avranno i fatti di Colonia (di un’inaudita gravità) che hanno definitivamente sdoganato il populismo che serpeggiava in Europa. L’accoglienza non è una risposta estemporanea a un’emergenza degli ultimi anni, l’accoglienza è un principio universale sancito da altisonanti documenti internazionali che abbiamo sottoscritto in tutto il mondo. In particolare noi europei quei documenti li abbiamo vergati dopo la catastrofe della II Guerra Mondiale quando eravamo noi a scappare dalle guerre e dalla fame. Non dimentichiamo che a pochi giorni dalla ricorrenza della Giornata della Memoria, la memoria è l’esercizio più nobile che può fare l’uomo per non ripetere gli errori del passato e per ricordare che l’umanità significa condivisione dei destini».

L’indagine del Censis ha inoltre rilevato che “le soluzioni neo-populiste come la chiusura delle frontiere passano in secondo piano rispetto a soluzioni più mature di governance globale, anche sul terreno dell’ordine pubblico e dell’intelligence”. Come combattere il radicalismo islamico senza però cadere nell’islamofobia?

«Innanzi tutto occorre collaborazione con le comunità islamiche affinché si sentano incluse e responsabili di ciò che fanno i loro membri nei confronti di tutta la società. Collaborazione vuol dire tendere la mano e dire “fate parte della nostra società” ma dire anche “dovete collaborare con noi” per individuare precocemente l’insorgere di radicalismo e di minacce al loro interno che possono nuocere agli equilibri complessivi della società».

A un mese e mezzo di distanza dall’apertura della Porta Santa a San Pietro, il bilancio degli arrivi dei pellegrini a Roma per il Giubileo della Misericordia non è positivo, le prime disdette sono arrivate appena 24 ore dopo gli attentati parigini del 13 novembre. Ora la paura genera anche ritrosia a partecipare a eventi di grande rilievo pacifici, se ciò significa evitare luoghi affollati?

«Purtroppo questo emerge dalle disdette delle prenotazioni ed è un effetto nefasto della propaganda jihadista che ha più volte menzionato Roma come possibile obiettivo. Vorrei spezzare una lancia in favore dei nostri apparati di sicurezza, dei nostri servizi segreti, della nostra intelligence, della nostra polizia. Stanno tutti facendo un lavoro eccellente, mentre noi parliamo c’è un vero apparato, fatto di uomini e di donne, che lavorano per la nostra sicurezza e che hanno già ripetutamente debellato minacce».

Se il 65% degli italiani ha cambiato le proprie abitudini per paura di attacchi terroristici, come reagire a quest’onda dilagante di psicosi e come possiamo superare la paura di uscire e frequentare luoghi pubblici?

«Sviluppando rapporti cordiali di amicizia e conoscenza con i musulmani di casa nostra, incentivando la fiducia reciproca e disincentivando in parallelo quello che io non posso che definire il tradimento da parte di quei musulmani occidentali che hanno scelto l’Isis e che sono circa seimila».

Un anno dopo l’attentato terroristico avvenuto a Parigi il 7 gennaio 2015 presso la sede del giornale satirico Charlie Hebdo, Lei ha dato voce al direttore Stéphane Charbonnier, morto nell’attentato. Ce ne vuole parlare?

«Ho scritto il monologo teatrale perché l’anno scorso con la strage avvenuta nella redazione di Charlie Hebdo è stato attaccato un principio che dovrebbe essere a noi molto caro: la libertà di espressione. Dopo l’attentato che è costato la vita di 12 persone, questa libertà è stata processata quasi come se Charlie Hebdo se la fosse cercata con il suo stile irriverente e con la sua satira senza limiti. Ho deciso di scrivere questa pièces teatrale perché ritengo che la satira non possa avere limiti e anche perché nessuno si può ergere a giudice e individuare i limiti, cosa è opportuno e cosa non lo è. Il giudice resta sempre il lettore che ha la facoltà democratica e sovrana di ignorare quella satira, di non comprare il giornale e quindi di ritenersi non destinatario di quel messaggio irriverente. L’idea che nella nostra società ci possano essere persone che avversano la libertà di espressione e decidono di rimuoverla con le armi è qualcosa che mi fa orrore e che mi fa temere per la democrazia».