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Le due anime dell’islam nel capoluogo friulano

Pubblicato il 14/11/2015 - Il Friuli

Approfittiamo dell’apertura della terza ‘moschea’ udinese per fare il punto sulle modalità del radicamento dell’Islam in Friuli Venezia Giulia, cercando anche di capire perché questo processo sta accelerando. Occorre anzitutto un chiarimento lessicale. ‘Moschea’ è espressione non appropriata per il centro appena inaugurato nel capoluogo friulano e, in verità, per il 99 per cento dei luoghi in cui si prega Allah nel nostro paese. Nella sua accezione tradizionale, che fa riferimento a edifici con precise caratteristiche architettoniche e funzionali, il termine può essere applicato solo quattro volte in Italia: per la grande moschea di Roma e per quelle di Milano Segrate, Ravenna e Colle Val D’Elsa. In tutti gli altri casi siamo di fronte a ‘sale di preghiera’ (musalla in arabo) che di solenne hanno ben poco, trattandosi di appartamenti, ex stabilimenti industriali o commerciali quando non di scantinati.

La provvisorietà di queste sistemazioni riflette alcuni fattori. Anzitutto, la natura recente del fenomeno migratorio. Dopo una prima fase di fluidità, le comunità islamiche stanno emergendo in forma organizzata e soddisfano come possono le esigenze del culto. Di qui un secondo fattore: le modeste risorse economiche di cui dispongono i musulmani, collocati di norma negli strati sociali più svantaggiati, fanno sì che in assenza di donazioni esterne, accettare le quali può portare vantaggi, ma anche ingerenze non sempre gradite, si riesca a malapena a sostenere l’attuale situazione precaria. Ciononostante, la generosità dei fedeli è tale da consentire l’apertura, in ogni centro abitato che abbia una rispettabile presenza islamica, di una sala di preghiera e, spesso, più di una.

Perché più di una? Per rispondere potremmo rispolverare un proverbio yiddish: ‘due ebrei, tre opinioni’. Non diversamente dall’ebraismo, l’Islam è una religione che dalla culla araba si è irradiata in svariati contesti geografici e culturali, radicandosi con modalità peculiari. A ciò si deve aggiungere la natura acefala dell’Islam, l’assenza cioè di un’autorità suprema che dia vincolanti indicazioni dottrinarie. Il risultato è la scaturigine, nell’arco di 1.400 anni, di più interpretazioni del messaggio di Maometto. Un processo che conosce ora nuovi sviluppi grazie all’avvento dei media elettronici, che consentono l’affermazione di nuovi movimenti e nuove leadership, anche improbabili come quelli del califfo al-Bagdhadi. Che gli udinesi nativi del Bangladesh abbiano avvertito l’esigenza di uno spazio proprio non rappresenta dunque una sorpresa. È uno sviluppo in ogni caso dirompente perché rappresenta la dichiarazione d’indipendenza di un’anima finora marginale dell’Islam udinese.

Nella moschea di via della Rosta saranno infatti osservate le linee guida di un movimento, il Tablighi Jama’at, che prende forma in seno alla riforma puritana dell’islam indiano. Si rompe, insomma, il monopolio dell’Islam arabo e maghrebino che ha finora dominato la vita dei centri islamici cittadini: quello di via Marano Lagunare – atterrato qui dopo un pellegrinaggio iniziato in via Leopardi e proseguito nelle sedi di via Battistig e via del Vascello – e quello di via San Rocco, che apre i battenti nel 2008. Al di là della differente collocazione nello stradario, questi due poli sono stati tradizionalmente guidati da soggetti di estrazione nordafricana, che hanno retto le sorti di comunità dove non sono mai mancati fedeli di altre aree geografiche.

Tra costoro c’erano anche i bengalesi, parte dei quali hanno ritenuto ora di mettersi in proprio per meglio coltivare tradizioni e orientamenti che non collimano con quelli dominanti nel mondo arabo, al di là della comune aspirazione a vivere l’islam in chiave fondamentalista. Indipendentemente dalle rispettive colorazioni, quella di via della Rosta sarà a tutti gli effetti una ‘moschea’ di quartiere destinata ad essere frequentata anche da quei residenti che sceglieranno di fare comodamente sotto casa le cinque preghiere quotidiane. D’altro canto, in Bangladesh come in Marocco, le invocazioni ad Allah si fanno in arabo, la lingua del Corano che rimane il principale collante di una religione mondiale avviata a superare i due miliardi di fedeli e a insidiare così il primato della cristianità.

Friuli Venezia GiuliaIl FriuliIslamMusulmani in FvgUdine
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