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Pentastellati senza alternative

Pubblicato il 26/08/2019 - Messaggero Veneto

L’editto con cui, dal G7 di Biarritz, Giuseppe Conte ha definitivamente archiviato l’esperienza del governo gialloverde toglie di mezzo il principale fattore di incertezza che ha dominato sinora la crisi di governo. Rinunciando al cosiddetto doppio forno, il M5s ha ora davanti a sé una strada stretta ma obbligata. Che, se dobbiamo prestare fede alle parole pronunciate da Conte in Senato, non corrisponderà ad un “irresponsabile” ritorno anticipato alle urne che condannerebbe il Paese ad affrontare senza un governo in carica la stagione della stesura della Legge di bilancio su cui gravano anche, com’è noto, onerosissime clausole di salvaguardia sull’Iva da disinnescare. Se questo è lo scenario da scongiurare, così come lo è il neutralizzare quel disegno di dominio di Matteo Salvini che passa dalla medesima strada elettorale, i pentastellati non hanno alternative all’abbraccio con il Pd. Un matrimonio che vanta numerosi sensali, non ultimo il senatore Matteo Renzi il cui assist a mezzo stampa al proprio segretario Nicola Zingaretti, esortato a intonare il più classico degli “scurdámmoce ‘o ppassato”, entrerà di diritto negli annali della storia parlamentare. Non basterà il miglior psicanalista sulla piazza a decifrare il repentino quanto spettacolare avvicinamento tra due formazioni politiche che hanno passato gli ultimi sei anni a insultarsi e delegittimarsi reciprocamente. Né quattro giorni pur serrati di incontri possono dirsi sufficienti a offrire a tale Ircocervo il collante di un programma di governo che possa anche indurre il presidente Mattarella, sicuramente restio a rivivere lo screzio permanente di questi ultimi 14 mesi, a offrire la propria benedizione. Fondamentale, da questo punto di vista, sarà la scelta del premier, che si sta infatti imponendo come lo snodo fondamentale della trattativa tra i due potenziali alleati. Se però gli stellati rilanciano compatti il profilo di Conte, che Beppe Grillo non vuole veder ridotto ad una “figurina” da scambiare nel gioco ad incastro delle poltrone da spartire, Zingaretti e buona parte del Pd pretendono “discontinuità”, ritenendo inopportuno il rilancio di colui che ha messo la firma, e la faccia, su politiche di cui già si discute la prossima cancellazione. Il punto di caduta potrebbe essere rappresentato, come si sussurra, da Roberto Fico? Le carte del presidente della Camera sono più che in regola. Militante della prima ora del movimento, carismatico interprete della sua anima progressista divenutone poi apprezzato volto istituzionale, Fico non solo non incontrerebbe resistenze in un ampio arco a sinistra, ma sembra anche in grado – algoritmi di Casaleggio permettendo – di superare la prova che l’attende dietro l’angolo: la ratifica della sua nomina con un voto sulla piattaforma Rousseau. Resta da capire quale effetto tale investitura potrebbe sortire in un pollaio come quello pentastellato dove ci sono già due galli: Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. A meno che, chissà, il tetto sotto cui dovrà svilupparsi questa coabitazione-competizione non finisca per essere proprio quello del governo.

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