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Perché lo stereotipo del terrorista di periferia è falso

Pubblicato il 10/03/2015 - Formiche.net

Chi c’era, e che cosa si è detto, alla presentazione del libro “E dei figli che ne facciamo?”

È inevitabile che un dibattito articolato come quello sull’immigrazione porti con sé innumerevoli sfaccettature. Una di queste riguarda le difficoltà dei cosiddetti “immigrati di seconda generazione”, dei quali si è parlato alla presentazione del libro “E dei figli che ne facciamo?” che si è svolta ieri pomeriggio nella Sala del Refettorio della Camera dei Deputati di Roma. Discussione alla quale hanno partecipato il deputato Pd Khalid Chaouki,membro della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, Marco Bruno e Mario Morcellini dell’Università di Roma “La Sapienza”, Milena Gammaitoni dell’Università degli Studi di Roma Tre. Il dibattito, nel quale erano presenti anche l’autore Marco Orioles e l’editore Gioacchino Onorati, è stato moderato dal giornalista di Rai 2Filippo Barone.

I CONFINI DEL DIBATTITO

Centrale è la disputa tra “Ius soli” e “Ius sanguinis”, per il quale la scelta cade sui valori portanti di un’intera comunità, quelli che distinguono i criteri di cittadinanza tra confini territoriali e origini degli individui che già vivono al loro interno. Altrettanto importante è però l’emergenza terroristica che di colpo ha invaso, urtandolo, l’intero panorama comunicativo del nostro Paese e non solo. Un fenomeno anomalo, extra-territoriale e dai tratti complessivamente molto difficili da analizzare. Del quale è facile osservarne messaggi, dinamiche e episodi – come l’attacco a Charlie Hebdo o i numerosi video diffusi sul web – ma che allo stesso tempo disorienta per la difficoltà di contestualizzarlo dentro confini logici ben definiti: lo stesso problema che porta oggi molti analisti ed esperti a parlare di “guerra globale”.

LA CERTEZZA DI CHAOUKI

Per Chaouki, “noi italiani abbiamo sempre avuto un modello tutto nostro riguardo alle politiche di integrazione” e alla capacità di “investire nel dialogo”. Molte sono però le ragioni per dire che non sono ancora soddisfacenti. Parlando di Isis, il deputato Pd è sicuro nel dire che “non ho paura di chiamarlo terrorismo di matrice islamica: una malattia che colpisce al cuore la nostra civiltà, e non più la sola realtà economica ma soprattutto quella di convivenza: i nostri valori, i simboli culturali, un intero patrimonio di civiltà”. Virando invece sull’oggetto del libro, il deputato ha fatto notare che “le seconde generazioni di immigrati sono spesso vittime ma allo stesso tempo rischiano di diventare anche i principali carnefici, ed è grazie a loro che possiamo osservare che cosa è diventata la nostra democrazia: la nazione, il rispetto per la costituzione, il modo in cui siamo in grado di garantire le pari opportunità. Il rischio è che le nostre generazioni possano diventare l’emblema di un fallimento, dimostrato nell’arruolamento di alcuni giovani nelle fila del terrorismo”. Anche per queste ragioni, la tesi è che “non è una questione del disagio delle periferie, ma del ruolo che si dà agli altri nella società”

UNA RIFLESSIONE SULL’INTERA CIVILTÀ

Il libro fornisce un’articolata documentazione sugli immigrati di seconda generazione, che lo stesso Chaouki ha definito “una boccata d’ossigeno”. “Oggi”, ha proseguito il deputato PD, “noi abbiamo una opportunità: quella di guardare ai ragazzi che da un giorno all’altro sono diventati da ragazzi comuni a carnefici, e alle madri che restano impotenti e piangenti, per cercare di capire le loro condizioni. È un discorso che coinvolge tutta la nostra civiltà, con l’Europa in primo piano. La cittadinanza è un perno di riflessione, un’opportunità per aprire tutta una pagina sui valori di comunità del nostro Paese”, e quindi non solo di quelle aree urbane o umane che soffrono di maggiore emarginazione: non è lì che nasce il terrorismo islamico. Chaouki sostiene che “manca il clima del dialogo: oggi il dialogo è malato, nuota in un clima di paura, mentre noi italiani abbiamo tutto l’interesse all’integrazione, grazie alla quale avremmo anche una marcia in più”.

Nel testo vengono ripercorsi con criteri sociologici molti degli snodi principali su cui costruire la cultura dell’integrazione: “I rendimenti scolastici ci dicono che il rischio è che i ragazzi che non riescono ad integrarsi crescano come disadattati. Qual è lo schema di valori che gli offriamo?”. Uno dei fattori che più incuriosiscono è come alcuni ragazzi, nati e cresciuti nella società occidentali, possano finire nel mezzo di una guerra dichiarata all’occidente. “Anche le famiglie faticano a seguire i propri figli”, dice Chaouki, e “una strategia comunicativa efficace sarebbe raccontare di più le storie di quei ragazzi che sono partiti e in seguito si sono pentiti, avendo capito di aver fatto una sciocchezza”. La comunicazione è quindi un fattore determinante, e “quella dei nostri media deve parlare di cose buone, di chi manifesta contro il terrorismo piuttosto che di chi si arruola”.

IL PUNTO DI VISTA DELL’AUTORE

Il punto dell’autore del libro Marco Orioles è chiaro: “Secondo le proiezioni dell’Istat in Italia, nel 2035, gli immigrati saranno 10 milioni”, perciò “il jihadismo nasce all’interno delle nostre società, è autoctono, vive in un ottica di terrorismo 2.0. Gli immigrati di seconda generazione sono ragazzi nati e cresciuti nelle nostre città europee”. Orioles, indicando che “nel libro si ripercorrere un po’ la storia degli attentati, dall’uccisione di Theo van Gogh all’attacco dei fratelli Coulibaly, fino all’attentato al caffè di Copenhagen durante un dibattito sul tema della libertà di espressione”, dice che è importante avere degli strumenti con i quali guardare meglio i fatti, senza lasciarsi travolgere dalle spettacolarizzazioni. E dal libro l’autore ne ha tratto che “non esiste nessun identikit del terrorista jihadista: lo stereotipo del terrorista vittima del disagio di periferia non ha fondamento”. E che ”se non ci occupiamo noi di queste cose saranno loro a occuparsi di noi”.

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