Come siano andati i colloqui di pace di Istanbul di giovedì e venerdì scorsi tra Ucraina e Russia, i primi diretti tra le due nazioni in guerra da tre anni, i lettori lo sanno bene. Si sono conclusi con un mero scambio di prigionieri, e nessuna svolta politica. Il perché è presto detto: malgrado l’invito rivoltogli da Zelensky, dal padrone di casa Erdogan e dall’intera comunità internazionale, Putin ha preferito rimanere a casa mandando al suo posto una delegazione di basso livello. Non è servito a nulla nemmeno l’appello di un amico dello zar come il presidente brasiliano Lula: “Ehi, compagno Putin, vai a Istanbul e negozia, per l’amor di Dio”, messaggio che Lula voleva recare personalmente a Putin, senza riuscirci. Ma era stato anche Trump a chiedere al capo del Cremlino di valutare bene la proposta, riproponendosi di essere presente lui stesso nel ruolo di mediatore. Ma quando era ormai chiaro il niet di Putin, The Donald ha sottolineato di non pensare che a Istanbul ci sarebbe stata una svolta “finché io e Putin non ci siederemo a un tavolo”. Definita da Zelensky “un segnale di disinteresse”, l’assenza di Putin è stata una mossa tattica volta sia a non legittimare il presidente ucraino sia a prendere tempo in vista di ulteriori successi militari sul campo. I veri e propri colloqui tra le delegazioni russa e ucraina si sono svolti il secondo giorno al Palazzo Dolmabahçe, ma, come rimarcato da Zelensky, “più che una squadra negoziale, quella di Mosca è una farsa”. Non c’era infatti nemmeno il ministro degli Esteri Lavrov, mentre l’Ucraina schierava, oltre ai titolari degli Esteri Andrij Sybiha e della Difesa Rustem Umarov, il super-consigliere del presidente Andrij Jermak. Viceversa la Russia era rappresentata dall’ex ministro della Cultura e gran falco Vladimir Medinskij assieme a due viceministri di basso rango. Davanti a tale realtà, Trump ha dichiarato di non essere “deluso dalla formazione della delegazione russa. D’altra parte, se non ci sono io, perché mai Putin dovrebbe presentarsi a Istanbul?”. Il giorno dopo, rientrando negli Usa dal suo tour nei Paesi del Golfo, il presidente ha aggiunto che “lunedì alle 10 chiamerò Putin perché va fermato questo bagno di sangue”. Quanto ai colloqui, sono durati 100 minuti e si sono limitati, come detto, ad uno scambio di prigionieri. Le reciproche condizioni erano del resto inconciliabili. L’Ucraina chiedeva la restituzione di tutti i territori occupati, Crimea inclusa, e precise garanzie di sicurezza internazionali. La Russia esigeva invece il riconoscimento di quei territori oltre alla neutralità di Kyiv e la rinuncia alla Nato. Il Cremlino ha minimizzato, definendo i colloqui “un passo preliminare” e denunciando l’intransigenza ucraina sotto pressione occidentale. Ma gli americani spazientiti sarebbero pronti a rilanciare un fronte occidentale più aggressivo nei confronti del Cremlino. In particolare, se non vi saranno progressi nella trattativa, gli Usa sono pronti a implementare lo schema presentato al Congresso dal senatore Graham che prevede iper-sanzioni sull’export di petrolio e uranio russi e dazi “devastanti” contro gli Stati che acquisteranno gli idrocarburi di Mosca.
Marco Orioles