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Spagna, summit Russia-Corea, Taiwan. Il Taccuino estero

Pubblicato il 29/04/2019 - Policy Maker

Dai risultati delle elezioni in Spagna al primo summit tra Kim Jon-un e Vladimir Putin. Ecco il Taccuino estero a cura di Marco Orioles

PRIMO PIANO: A VLADIVOSTOK IL PRIMO SUMMIT PUTIN-KIM

Kim Jong-un sceglie anche questa volta il treno blindato per recarsi a Vladivostok, dove giovedì 25 aprile si è tenuto il primo summit tra il leader della Corea del Nord e il presidente russo Vladimir Putin, che ha avuto luogo in un’isola al largo della città sul Pacifico.

È la prima volta che i due si vedono di persona, anche se Putin vanta un precedente con un altro capo supremo della Corea del Nord: l’incontro con il padre nonché predecessore di Kim, Kim Jong Il, avvenuto nel 2002. Quest’ultimo fu poi protagonista di un altro vertice nel 2011, quando al Cremlino risiedeva l’attuale premier russo, Dmitry Medvedev.

Il meeting di venerdì si è svolto in un’atmosfera particolarmente calorosa, tra maschie strette di mano e ampi sorrisi. Putin, noto per far attendere a lungo i suoi interlocutori, si è addirittura presentato all’appuntamento un’ora e mezza prima dell’arrivo di Kim, come ha testimoniato un reporter di Reuters presente sulla scena. Il clima disteso e cordiale a Vladivostok è ben illustrato dalle trentotto foto scattate dall’Associated Press che possono essere visionate qui.

Il cerimoniale ha previsto anche uno scambio di doni. Kim ha regalato a Putin una spada coreana: “Quando le armi moderne non esistevano, si usavano queste spade”, avrebbe detto il Maresciallo allo Zar, secondo i media russi. Putin ha ricambiato con una sciabola e un servizio da tè da viaggio.

I colloqui si sono articolati in due sessioni: nella prima, durata il doppio rispetto ai cinquanta minuti previsti, i leader hanno parlato a tu per tu alla presenza di un nucleo ristretto di consiglieri; alla seconda sessione, culminata con una cena di gala, hanno preso parte anche le rispettive delegazioni, che per la Corea del Nord comprendeva il ministro degli Esteri Ri Yong-ho e il suo vice Minister Choe Son-hui. Nel gala serale, brindisi in quantità sullo sfondo di brani musicali tradizionali e danze eseguiti da artisti russi.

All’inizio del banchetto, Kim ha brindato alla salute del suo ospite esaltando gli ottimi rapporti tra Russia e Corea del Nord. “I popoli dei due Paesi” – ha detto Kim, levando il calice – “che condividono una preziosa amicizia che è stata creata e rafforzata sconfiggendo ogni avversità e sfida lanciata contro di noi dalla storia, hanno un profondo convincimento che gli incessanti sviluppi dei legami Corea del Nord-Russia non solo servono i nostri reciproci interessi, ma sono anche indispensabili per assicurare la pace e la stabilità della regione”. Il popolo nordcoreano, ha aggiunto, “ha sempre avuto emozioni affettuose e fraterne nei confronti del popolo russo e prova orgoglio che un grande Paese come la Russia sia un vicino prossimo”.

Il tema del disarmo della penisola coreana è stato al centro dei colloqui. Come è stato osservato, il summit segna il tentativo da parte di Putin di accreditarsi come interlocutore in un negoziato dominato sinora dagli Stati Uniti di Donald Trump.

Il presidente Usa ha ovviamente svolto il ruolo del convitato di pietra. Kim ha criticato “l’atteggiamento unilaterale e in cattiva fede” di Washington, responsabile secondo lui dello stallo del processo negoziale. A Putin, il dittatore ha ricordato che la situazione nella penisola coreana ha raggiunto un “punto critico” che potrebbe in qualsiasi momento riaprire le tensioni che hanno caratterizzato il 2017, anno in cui Pyongyang ha compiuto numerosi test missilistici e uno nucleare. Dipenderà “dal futuro atteggiamento degli Usa” se si tornerà alla crisi o se, invece, si rianimeranno le trattative.

Putin ha dato mostra di essere comprensivo verso la posizione del suo interlocutore, e ha palesato la sua visione di come si possa trovare una soluzione al dilemma nucleare. I nordcoreani, ha sottolineato il capo del Cremlino, “hanno solo bisogno di garanzie sulla loro sicurezza. (…) Sono profondamente convinto che se arrivassimo ad una situazione in cui una parte, in questo caso la Corea del Nord, avesse bisogno di determinate garanzie di sicurezza, allora non sarebbe possibile procedere senza (fornirle) garanzie internazionali. È improbabile”, ha concluso, “che qualsiasi accordo tra due Paesi possa essere sufficiente”.

La soluzione immaginata da Putin è il ritorno al formato negoziale dei colloqui a sei (six-party talks), una formula che, oltre alle due Coree e agli Usa, include la Russia, la Cina e il Giappone e che fu tentata a partire dal 2003 salvo poi deragliare negli anni successivi. “Noi crediamo”, ha affermato il presidente russo, “che sia necessario riprendere colloqui a sei per discutere di una garanzia di sicurezza per la Corea del Nord”

Conscio che il summit sarebbe stato osservato attentamente e con sospetto negli Stati Uniti, Putin ha voluto precisare di non nutrire secondi fini e che, anzi, è pronto a condividere con Washington quanto emerso al summit di Vladivostok. “Non ci sono segreti”, ha sottolineato. “La posizione della Russia è sempre stata trasparente. Non ci sono trame di alcun tipo (…) discuteremo apertamente di questo tema con la leadership Usa”

Sarebbe stato lo stesso Kim a incoraggiare Putin a condividere con gli americani i contenuti dei loro colloqui. “Kim Jong-un ci ha chiesto”, ha spiegato Putin, “di informare la parte americana sulla sua posizione, sui temi che emergono da lui in connessione con i processi che stanno avendo luogo in merito alla penisola coreana”.

La questione delle armi di distruzione di massa non era l’unica in agenda. Ampio spazio è stato riservato ai temi economici. Russia e Corea del Nord nutrono l’intenzione di rafforzare la cooperazione e gli scambi commerciali, che al momento – a causa delle sanzioni internazionali che penalizzano il Regno Eremita – sono ridotti all’osso, con un volume di appena 34 milioni di dollari raggiunto nel 2018.

Se gli occhi della Russia sono puntati sui ricchi giacimenti minerari della Corea del Nord, quest’ultima guarda a Mosca come fonte di energia elettrica e di investimenti per modernizzare i suoi stabilimenti industriali sempre più desueti, per migliorare la rete ferroviaria e per realizzare infrastrutture.

Un tema particolarmente delicato affrontato nel vertice è stato il destino dei circa diecimila lavoratori nordcoreani impiegati in Russia, le cui rimesse rappresentano una delle poche fonti di valuta pregiata per le esangui casse di Pyongyang. Secondo il dettato delle sanzioni, quest’anno quei lavoratori dovranno rientrare in patria, e Kim avrebbe chiesto alla Russia di continuare a ospitarli. “Ci sono varie opzioni”, gli ha spiegato Putin, sottolineano che ci sono “temi umanitari e questioni che pertengono al rispetto dei diritti di queste persone”.

Dallo Zar, infine, il Maresciallo si aspetta un irrobustimento degli aiuti umanitari, indispensabili per un Paese che ha reso noto alle Nazioni Unite che quest’anno rischia l’ennesima carestia. Negli ultimi anni, la Russia ha fornito aiuti alimentari alla Corea del Nord per 25 milioni di dollari. Una goccia nel mare della disperazione di un intero popolo.

 


TWEET DELLA SETTIMANA

 

I cancelli della Casa Bianca si sono aperti sabato 27 aprile per il premier giapponese Shinzo Abe. Che ha così potuto fare personalmente gli auguri di buon compleanno alla First Lady Melania.

 


NOTIZIE DAL MONDO

 

Trionfo elettorale in Spagna per Pedro Sánchez. Alle elezioni di ieri, il Psoe incassa il 28% delle preferenze, diventando il primo partito a Madrid. Ma la strada per formare il governo è in salita: l’alleato di Podemos porta a casa infatti il 16%, e le due forze congiunte non raggiungono la maggioranza. Entra in Parlamento, come previsto, l’estrema destra di Vox, che ottiene il 10%. Fiasco invece per il Partido Popular, fermo al 16,7%. Buona la performance dei liberisti di Ciudadanos (15,8%). Insieme, Psoe e Podemos hanno 165 seggi,  undici in meno di quelli necessari per la maggioranza in Assemblea. Seggi che potrebbero essere garantiti dagli indipendentisti catalani di Esquerra Republicana, che surclassano Junts per Catalunya, la formazione dell’ex capo della Generalitat di Barcellona, Carles Puigdemont. Potrebbero essere decisivi per un nuovo governo Sánchez  inoltre i sei seggi ottenuti dal Partito Nazionalista Basco e i cinque di Euskal Herria Bildu. Il Fatto Quotidiano

 

Per la minaccia dei foreign fighters di ritorno, il Marocco segna la via. In un clima di rinnovata preoccupazione nei confronti dell’Isis dopo gli attentati di Pasqua in Sri Lanka, tiene banco la questione del che fare con i foreign fighters che sono andati a combattere nel Siraq. Stiamo parlando di oltre cinquantamila persone che, dopo l’inizio della guerra civile siriana, hanno lasciato i propri Paesi per trasferirsi nel Levante. Di questi, alcuni sono morti, altri sono stati fatti prigionieri dai curdi delle SDF, ma altri si sono dileguati e altri ancora hanno fatto ritorno. I governi non sanno esattamente come affrontare la minaccia posta dai reduci. Ad avere le idee chiare, e rappresentare un possibile esempio, è il Marocco, Paese da cui, tra il 2013 e il 2017, sono partiti in 1.664, incluse 285 donne e 378 bambini. Di questi, 596 sono morti in combattimento o in attacchi suicidi, 213 sono tornati, incluse 52 donne e 15 minori. Rabat si è attrezzata sin dal 2014 per affrontare il problema, modificando la propria legge anti-terrorismo che ora prevede pene fino a quindici anni e sanzioni fino a 45 mila euro per i soggetti colpevoli di essersi uniti, o aver tentato di farlo, a gruppi armati dentro o fuori la nazione. Il Marocco è uno dei casi di studio esaminati nel rapporto di ricerca dell’Egmont Institute for International Relations e della Konrad-Adenauer-Stiftung diffuso mercoledì. El Pais.

 

Una nave da guerra francese nello stretto di Taiwan. Lo hanno rivelato a Reuters ufficiali americani, e lo ha confermato pure Pechino. Secondo i militari Usa, il 6 aprile la fregata Vendemiaire è transitata per lo specchio d’acqua che separa l’isola dalla terraferma, in quella che appare un’operazione volta ad affermare la libertà di navigazione in un braccio di mare e nei pressi di un territorio su cui la Cina rivendica la propria sovranità. A detta dei due ufficiali Usa, è la prima volta in assoluto che la marina francese compie una mossa del genere. La reazione di Pechino è stata furibonda per quello che viene considerato un passaggio “illegale”. “L’esercito cinese rimarrà in allerta”, ha affermato il portavoce del Ministero della Difesa, Ren Gyoqiang, “per salvaguardare fermamente la sovranità e la sicurezza della Cina”. Come ritorsione, inoltre, la Repubblica popolare ha cancellato la partecipazione di navi francesi alla grande parata che si è tenuta questa settimana, alla presenza di imbarcazioni di svariati Paesi, nel porto della città orientale di Qingdao, organizzata per festeggiare i settant’anni di vita dell’Esercito di Liberazione del Popolo. Reuters

 

Cambio al vertice dei pasdaran. Domenica 21 aprile la Guida Suprema iraniana ha nominato a capo dei Guardiani della Rivoluzione Hossein Salami, che subentra a Mohammad Ali Jafari, di cui è stato per dieci anni il vice. Salami è stato comandante delle operazioni della base navale di Nuh durante la guerra Iran-Iraq (1980-1988), direttore del Command and Staff College e vice comandante delle operazioni congiunte dei Guardiani. È noto per le sue posizioni da falco. All’inizio di quest’anno, dichiarò che l’obiettivo di Tehran è “spazzar via Israele dalla geografia politica del mondo”. Salami è poi fermamente contrario ad ogni negoziato con gli Usa. Ha inoltre ammonito gli europei che “se volessero perseguire il disarmo missilistico della Repubblica Islamica dell’Iran, saremmo costretti a fare un salto strategico”. La sua nomina arriva a pochi giorni dalla designazione dei Guardiani, da parte degli Usa, come organizzazione terroristica. Long War Journal

 

Alta diserzione in seno ad al-Shabaab. Secondo ufficiali somali, Aden Abdi Mohamed, conosciuto come “Aden Obe”, si è consegnato al governo nella regione sudoccidentale di Gedo insieme ad un altro esponente del gruppo, identificato come Food Aden Mohamoud. Nella formazione jihadista, Obe ricopriva la posizione di membro del Consiglio Consultivo e capo degli Affari Sociali. Più recentemente, ha operato come capo della logistica nella regione di Jubba. Voice of America

 


SEGNALAZIONI

 

“Gli attacchi in Sri Lanka: cosa c’è da sapere”: l’articolo dell’esperto di terrorismo Bruce Hofmann sul sito del Council on Foreign Relations.

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“La Russia vuole controllare la regione artica”: il saggio di Geoff Upton su The National Interest.

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Le “previsioni sulla composizione del Parlamento Europeo” dopo le elezioni del prossimo 26 maggio nel rapporto dell’European Council on Foreign Relations curato da Kevin Cunningham, Simon Hix, Michael Marsh e Susi Dennison.

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“Un regno di cinquant’anni? MbS e il futuro dell’Arabia Saudita”: la nota politica di Simon Henderson sul sito del Washington Institute.

 


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