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Le barricate contro il futuro

Pubblicato il 01/10/2017 - Il Piccolo

Alcune considerazioni si impongono dopo la bagarre scatenatasi al Consiglio comunale di Grado a seguito della decisione del sindaco Dario Raugna di aprire le porte a diciotto migranti già ospiti del Cara di Gradisca. È sempre più evidente la spaccatura delle nostre comunità, a livello sia locale che nazionale, causata dalla presenza di persone che arrivano da contesti lontani e dalla necessità di predisporne l’accoglienza. Le polemiche e i malumori sempre più spesso trascendono, come si è visto a Grado, dove il primo cittadino è stato costretto a chiedere alle forze dell’ordine di sgomberare l’aula, mentre qualcuno avanzava la richiesta di dimissioni di Raugna. Poco importa che l’amministrazione avesse predisposto un percorso di inclusione, con la struttura designata – l’ex Hosteria Al Lido di Fossalon – già pronta a ricevere i migranti. Se i segnali che giungono dal mondo politico sono questi, cosa possiamo attenderci dai cittadini? Il rischio niente affatto remoto è che si alimenti artificiosamente la loro esasperazione, e che li si esorti a designare i migranti come capri espiatori delle proprie incertezze e difficoltà. Basti pensare a quanto è successo l’altro giorno a Roma, dove alcuni residenti, incitati da gruppuscoli dell’estrema destra, hanno impedito a una donna di origine etiope di prendere possesso di una casa popolare, ovvero di esercitare un diritto sancito da un preciso regolamento. Un ben triste spettacolo, che ha guadagnato giustamente la ribalta nazionale. Lo spettro che aleggia su simili episodi è quello di una guerra tra poveri, scenario nefasto che avremmo tutti il dovere di tenere ben lontano e che invece qualcuno, per meri interessi di parte, non ha paura di fomentare. Tutto ciò non fa ben sperare per l’imminente campagna elettorale per le politiche 2018. Nella quale vi sarà chi cercherà di guadagnare il consenso dei cittadini sfruttandone la sensazione di essere vittima di un’appropriazione indebita di risorse pubbliche, destinate illegittimamente agli stranieri. La parola d’ordine “prima gli italiani” è destinata a diventare il crinale che separa le proposte di chi è contro e chi è a favore dell’accoglienza. Come se l’accoglienza fosse facoltativa, e non dettata dal rispetto di norme nazionali e internazionali vincolanti per il nostro come per qualsiasi altro Paese europeo e civile. L’ostilità di alcuni amministratori ai piani di redistribuzione dei migranti è lo specchio di una situazione che ha già oltrepassato i confini del diritto, per approdare sul terreno della demagogia. La solidarietà tra i Comuni dovrebbe essere il principio cardine su cui impostare politiche sostenibili di gestione di un fenomeno, l’immigrazione, che investe l’intero territorio nazionale. Si tratta a ben vedere dell’unico approccio ragionevole, attraverso il quale suddividere i provvisori costi della sistemazione di persone che un giorno saranno parte integrante della nostra società e contribuiranno a sostenere la nostra economia in difficoltà, per non parlare dell’esangue bilancio demografico, vera priorità su cui saremmo tutti chiamati a fare sfoggio di responsabilità. Le proiezioni di tutti gli istituti di statistica, italiani ed internazionali, parlano chiaro: gli attuali indici di natalità e mortalità e l’invecchiamento della popolazione faranno crollare la popolazione italiana. Le dinamiche naturali, da sole, non saranno sufficienti a invertire un corso che da tempo gli studiosi più attenti definiscono come un “suicidio”. Il tasso di fecondità totale in Italia è pari ad 1,34 (numero di figli per donna), ben al di sotto del livello (2,1) necessario per mantenere invariata la popolazione. Scorporando il dato per cittadinanza, scopriamo che il tasso delle donne italiane è pari a 1,27, mentre quello delle immigrate è di 1,95. Nel 2016 sono nati appena 486 mila bambini, mentre i decessi sono stati 608 mila. Se la popolazione in questi anni non solo non è diminuita, ma è addirittura lievitata sino a superare la soglia simbolica dei sessanta milioni di unità, lo dobbiamo ai flussi in entrata e alle madri straniere. Ecco perché, se si vuole evitare il declino di questo Paese, bisogna riconoscere chi sta contribuendo a sostenerlo, e non fargli la guerra.

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