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Bocciato il referendum sulla cannabis

Pubblicato il 18/02/2022 - Il Piccolo, Messaggero Veneto

Sarebbe stato, se non fosse intervenuta la bocciatura della Consulta, il referendum più popolare e probabilmente trainante. La straordinaria mobilitazione in favore della legalizzazione della coltivazione della cannabis, che grazie anche all’innovazione della firma digitale aveva consentito di raccogliere ben 630 mila sottoscrizioni in una settimana, dimostra quanto sia avvertita tra la popolazione l’esigenza di cancellare un tabù e far transitare il nostro Paese nel novero delle nazioni più all’avanguardia. Così non sarà, dietro parere motivato da parte della Corte Costituzionale, che ha ravvisato vari deficit nella stesura del quesito, con particolare riguardo alla possibilità di estendere la legalizzazione anche alle droghe pesanti. Per un cavillo, dunque, agli italiani sarà negata la possibilità di pronunciarsi sull’abrogazione di alcune parti di una legislazione desueta qual è il DPR n. 309/1990, che si distinse sin dall’inizio per essere estremamente afflittivo anche per condotte penalmente irrilevanti. Una legge figlia del suo tempo e dunque inadatta a un mondo profondamente cambiato dopo quasi due generazioni e tanti mutamenti nell’ambito della cultura e della mentalità. Peraltro non sarebbe stata solo questione di rendere leciti la detenzione e l’uso ricreativo della sostanza, che pur è realtà in Paesi come la vicina Malta. La bocciatura dell’Alta Corte non tiene conto anzitutto delle migliaia di malati che si curano con la cosiddetta cannabis terapeutica ad oggi quasi irreperibile nelle farmacie autorizzate. Sono loro, spesso in condizione terminale o di estrema sofferenza, le prime vittime di una lettura fin troppo formalistica del testo referendario. Ma anche senza tenere conto di questo fattore umano, l’esito negativo dell’iniziativa popolare impedisce soprattutto di agire su altri versanti decisivi del tema droghe. Difficile sfuggire all’impressione che si è persa un’opportunità storica per disarticolare quel mercato illegale il cui giro d’affari – secondo quanto stimato nell’ultima Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze – è valutato in oltre 16 miliardi di euro di cui il 40% circa attribuibile al solo consumo dei derivati della cannabis. Non si è voluto in altre parole porre sotto l’egida dello Stato un fenomeno i cui indicatori, soprattutto in termini di numero di consumatori, sono in continua crescita. Ma se c’è un motivo per cui il DPR 309/1990 andrebbe rivisitato in toto è quella che i militanti radicali e anche personalità come l’ex senatore Luigi Manconi definiscono la sua natura criminogena. I dati del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia sono agghiaccianti: oltre un terzo della popolazione carceraria è costituito da soggetti detenuti per reati droga-correlati. In un Paese come il nostro, più volte condannato in sede internazionale per il suo inquietante sovraffollamento carcerario, non sarebbe stata affatto una cattiva idea fare a meno di una parte significativa dei 18.697 reclusi per violazione del testo unico sulle droghe. Un’opportunità perduta, dunque, con l’aggravante che è oggi impensabile che in Parlamento si trovino i consensi per porre rimedio.

 

 

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