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Che cosa succede in Libia tra Usa, Turchia e Russia. L’analisi di Mercuri

Pubblicato il 24/08/2020 - Start Magazine

Trump sul dossier Libia si è riavvicinato alla Turchia di Erdogan in funzione anti-russa, ossia per limitare la presenza della Russia nel Paese. L’analisi di Michela Mercuri, docente e autrice del saggio “Incognita Libia”.

La notizia più rilevante giunta dal teatro libico la settimana scorsa è costituita senz’altro dalle due dichiarazioni parallele del Governo di Accordo Nazionale e del presidente del Parlamento di Tobruk Aguila Saleh che si dicono pronti a sotterrare l’ascia di guerra e ad avviare trattative di pace.

È un’iniziativa che ha fatto discutere molto, e che ha già subito una secca smentita da parte del portavoce dell’Esercito nazionale libico di Khalifa Haftar, Ahmed al Mismari, che l’ha definita “marketing per i media”.

Ma è un fatto che ora i governi di Tripolitania e Cirenaica si vogliano parlare e abbiano presentato nei rispettivi documenti dettagliate condizioni per il cessate il fuoco e l’avvio di una fase di confronto sul futuro del Paese.

Per capire meglio i contorni di questi fatti, Start Magazine ha sentito Michela Mercuri, docente alla SIOI, all’Università Niccolò Cusano e all’Università di Macerata nonché componente dell’Osservatorio sul Fondamentalismo religioso e sul terrorismo di matrice jihadista e autrice del saggio “Incognita Libia”.

Mercuri, quali sono i principali elementi di novità nelle due dichiarazioni di Serraj e Saleh?

Ce ne sono molti. Il primo è che si tratta di soluzioni proposte da libici dell’Est e dell’Ovest del Paese con una road-map disegnata dai libici. Questo è un elemento importante perché l’esperienza ci insegna che le soluzioni calate dall’alto come le varie conferenze internazionali spesso non funzionano mentre è importante che siano i libici stessi a proporre le soluzioni ideali per risolvere le loro crisi interne.

E il secondo elemento qual è?

Il secondo elemento da mettere in evidenza è che queste dichiarazioni arrivano in parallelo con la ripresa della produzione di petrolio come garantito qualche giorno fa dalle guardie di Haftar. Un accordo legato alla ripresa della produzione può funzionare perché la ripresa della produzione ed un’equa redistribuzione della rendita petrolifera potrebbero essere la base per la stabilizzazione della Libia, visto che in un paese così legato ai proventi del petrolio come la Libia l’economia è strettamente legata alla politica. A questi elementi si aggiungono però alcune criticità.

Quali?

L’accordo proposto dalle due parti in causa esclude attori come Haftar che è molto vicino ad attori esterni come gli Emirati Arabi Uniti che potrebbero rigettare questo accordo che li marginalizzerebbero dal teatro libico.

Come si è arrivati a questo risultato, attribuito da molti alla mediazione Usa?

E’ impossibile negare la longa manus degli Usa in Libia. C’è stato un rientro in grande stile di Trump per ragioni legate evidentemente anche all’imminenza delle elezioni. Trump in particolare si è riavvicinato ad Erdogan tanto che i due hanno messo da parte le loro divergenze per gestire insieme il dossier libico. Questa posizione americana è stata assunta da Trump sicuramente in funzione anti-russa, ossia per limitare la presenza russa nel Paese. Tenendo anche conto che gli americani hanno appena fatto firmare un accordo tra Israele ed Emirati, che sono degli attori fondamentali nel quadrante libico, è facile immaginarsi un impegno a lungo termine degli Usa su questo fronte. L’unico punto interrogativo è quanto gli americani saranno disposti a cedere ai russi che difficilmente se ne andranno pacificamente dalla Libia dopo aver schierato i propri mercenari per ritagliarsi i propri interessi nazionali in Libia. Questo è uno dei punti interrogativi che potrebbe mettere a repentaglio la stabilizzazione del Paese.

Le risulta cambiata la posizione dei vari sponsor delle due parti, quindi Emirati, Qatar, Turchia ecc? Possiamo dire che la bozza di intesa tra Est ed Ovest possa andare bene loro?

Qatar e Turchia hanno indubbiamente hanno consolidato le loro posizioni all’interno del paese e hanno avuto quello che volevano. La Turchia ha già ottenuto a novembre una spartizione delle zone economiche nel Mediterraneo a lei favorevole, e pochi giorni fa ha ottenuto sempre da Tripoli la base di Misurata che le conferisce una proiezione strategica in tutto il Mediterraneo. Turchia e Qatar possono dunque dichiararsi vincitrici e soddisfatte. La Russia sembra aver accolto positivamente questo accordo ma avendo importanti mire nel Paese come ricavarsi una base in Libia, presumibilmente in Cirenaica, cercherà di ottenere questi obiettivi ma ormai da una posizione di svantaggio. Quanto agli Emirati, si tratta degli attori più ostici per il mantenimento di questo accordo. Sono gli attori da convincere perché sono quelli che più hanno speso per sostenere Haftar e con questo accordo sarebbero marginalizzzati dal teatro libico, dunque difficilmente lo accetterebbero così com’è. Da questo punto di vista, gli americani, che hanno una stretta partnership con gli Emirati, potrebbero giocare un ruolo fondamentale.

Nodo controllo petrolio e Sirte; come si sbroglierà? È possibile che alla fine si torni a combattere per Sirte e magari anche per Jufra?

La questione della smilitarizzazione di Sirte e Jufra è legata alla questione petrolifere perché nella sirtica si trovano il 70% delle riserve petrolifere del Paese. La prima ipotesi, che è quella più auspicabile, è che questa smilitarizzazione avvenga, che la produzione continui a fluire. Ma c’è una condizione fondamentale, ossia i proventi devono essere equamente spartite tra gli attori della Tripolitania e della Cirenaica. L’ipotesi al momento dunque è che se dovesse ripartire la spartizione dei proventi del petrolio e se tutti si comporteranno bene non dovrebbero esserci problemi tra queste fazioni.

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