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Joe Biden e le relazioni diplomatiche ricucite a Ginevra

Pubblicato il 19/06/2021 - Messaggero Veneto

Joe Biden si è presentato all’attesissimo summit col presidente russo Putin a Ginevra con tre diversi obiettivi: ricostruire una relazione che si era ridotta ormai ai minimi termini, rendere questo rapporto “stabile e prevedibile”, e infine comunicare in modo diretto le linee rosse dell’America. C’era in realtà un quarto motivo ed era evitare la plateale fraternizzazione che Donald Trump ostentò quando a Helsinki nel 2018 incontrò il suo omologo russo nei confronti del quale nutriva una simpatia che spiazzò l’establishment politico Usa e suscitò le più vive preoccupazioni presso gli alleati. Da quest’ultimo punto di vista Biden esce dal summit di Ginevra a testa alta e anche con qualche risultato concreto. Sul fronte della riparazione della relazione diplomatica i due leader hanno concordato di riportare nelle rispettive sedi ufficiali i propri ambasciatori dopo che lo scorso aprile furono allontanati senza troppe esitazioni. E questo è giù un gran passo in avanti nella direzione di quella normalizzazione dei rapporti perseguita da entrambi i capi di Stato. Ma è l’unico passo concreto che Usa e Russia fanno nel contesto di un vertice in cui hanno preso il sopravvento le polemiche sia pur garbate. Biden in particolare aspirava al contenimento di una delle più temibili minacce che arrivano dalla Russia: i cyberattacchi e i cosiddetti attacchi ransomware che hanno più volte preso di mira gli Stati Uniti. Ma su questo fronte, oltre al consueto diniego di responsabilità da parte di Putin, Biden – che ha presentato al suo interlocutore una lista di 14 infrastrutture sensibili Usa da considerare inviolabili – intasca solo la formazione di una commissione congiunta incaricata di studiare il problema. A fronte della promessa di continuare il virtuoso percorso del controllo degli armamenti nucleari, le distanze restano abissali su un tema caro a Biden come i diritti umani. Sollevando il caso del dissidente Alexei Navalny incarcerato dalle autorità di Mosca, si è sentito ribattere che quella condanna è ineccepibile. Non solo, ma Putin si è lanciato anche in una filippica contro gli Stati Uniti e il loro asserito malessere rappresentato dalle violenze razziali della polizia e dal famoso assalto al Campidoglio con cui il 6 gennaio scorso i sostenitori di Trump fecero traballare la democrazia Usa. Da quest’ultimo punto di vista non c’è nulla di cui sorprendersi: Putin infatti è un fiero antagonista della democrazia che egli considera fallimentare a fronte dell’efficacia di governo di autocrazie come la sua. L’incontro di Ginevra, in questo senso, potrebbe esser definito come un ritorno di fiamma del clima da guerra fredda. Ma non è nell’interesse di entrambi i Paesi spingersi così in fondo nella loro dialettica. Sullo sfondo infatti incombe il confronto con il potere emergente della Cina, temuta in eguale misura da ambedue le potenze. E, se hanno ragione alcuni analisti, Russia e Usa potrebbero stringere un’alleanza per contrastare il comune avversario. Scenari futuribili su cui sarebbe imprudente scommettere.

 

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