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L’11 settembre

Pubblicato il 06/09/2021 - Il Piccolo, Messaggero Veneto

Tra pochi giorni cadrà il ventesimo anniversario degli attentati dell’11 settembre 2001. Che cosa ricorderemo quel giorno e soprattutto quali riflessioni dovremo fare? Rispondere alla prima domanda è senz’altro più facile che alla seconda. Chi c‘era non ha dimenticato le drammatiche immagini trasmesse in diretta dai luoghi delle stragi: i due aerei di linea dirottati che trafiggono le Twin Towers causandone il crollo; il terzo aereo dirottato che finisce la sua corsa sulle mura del Pentagono, e il quarto aereo che solo per il coraggio dei passeggeri non raggiungeva il suo obiettivo al Campidoglio. Aerei come missili e piloti kamikaze: fu la diabolica e imprevedibile innovazione introdotta nel mondo del terrorismo internazionale dall’architetto della strage Osama bin Laden. Quel che successe dopo è storia: il mondo che si univa in un abbraccio solidale agli Stati Uniti colpiti nel cuore del loro potere politico, economico e militare; i titoli fotocopia dei giornali italiani, “Attacco all’America” e “Attacco alla libertà”; il timore di una reazione militare sconsiderata da parte della superpotenza n. 1 violata nel suo territorio; e il sollievo per il successivo e fulmineo intervento chirurgico in Afghanistan per cacciare dal potere i talebani, rei di aver dato ospitalità a quello che tutti presero a chiamare “lo sceicco del terrore”. Il successo dell’operazione denominata Enduring Freedom, “libertà duratura”, alimentò un cauto ottimismo sul futuro dell’Afghanistan liberato dalla scure di un regime oscurantista. Fu il risultato della teoria dell’esportazione della democrazia coltivata dai ministri e consiglieri neoconservatori dell’amministrazione Bush: il sogno di un futuro all’insegna dei diritti e delle libertà per il martoriato popolo afghano. Ma il momento delle illusioni sarebbe durato poco. Presto gli studenti coranici si riaffacciarono in Afghanistan con la ferma volontà di riscossa costringendo i militari alleati ad estenuanti operazioni di controterrorismo. Nel frattempo il terrorismo qaedista, tutt’altro che domo, rialzava la testa sferrando i suoi colpi mortali ovunque, inclusa l’Europa. L’America si ritrovò dunque impegnata in quello che sarebbe diventato il conflitto più lungo della sua storia contro un nemico subdolo e proteiforme che, nonostante le risorse messe in campo, continuava a seminare morte. Ad aggravare il quadro ci pensò la stessa amministrazione Bush scatenando nel 2003 un conflitto contro l’Iraq di Saddam Hussein: anche in questo caso una guerra lampo ma seguita da un’occupazione funestata dai micidiali attacchi delle cellule jihadiste accorse in massa in Iraq per umiliare l’America e costringerla a fare le valige. Si dovette aspettare il successore di Bush, Barack Obama, per assistere otto anni dopo al disimpegno Usa dall’Iraq: una scelta giusta ma che permise ai terroristi di riorganizzarsi sotto le nuove insegne del gruppo chiamato Stato islamico che presto sarebbe dilagato in Siria approfittando della guerra civile iniziata nel 2011. Il resto è storia recente: la formazione nel 2014 del Califfato i cui adepti si resero responsabili di una sequenza di attacchi in Occidente; l’offensiva della coalizione anti-Isis, che in tre anni smantellò questo impero del terrore ma non le sue ramificazioni in tutto il mondo. Questa è la sintesi di quanto è successo negli ultimi vent’anni, che culminano con l’accordo di pace siglata dall’amministrazione Trump con i talebani nel 2020 e la recente presa di Kabul, inesorabile conseguenza dell’uscita di scena degli Usa. Il cerchio si è dunque chiuso: gli stessi uomini che due decenni fa schiacciavano la popolazione col pugno duro della sharia hanno ripreso il controllo del Paese e si accingono a riportare indietro le lancette della storia. È una tragedia non solo per lo sfortunato popolo afghano ma per quella notevole fetta di mondo che guarda ancora all’America come custode della pace, della democrazia e delle libertà. La “libertà duratura” per gli afghani è evaporata in soli venti anni ed è un inquietante monito per tutte le nazioni che contano ancora sulla protezione dell’alleato a stelle e strisce. Il prossimo sabato dunque commemoreremo i morti dell’11 settembre e tutti gli altri caduti di questo conflitto globale e lo faremo con il massimo disincanto e l’amara sensazione di essere orfani di una leadership ormai appannata.

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