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L’Isis-K minaccia anche l’Occidente

Pubblicato il 29/08/2021 - Messaggero Veneto

Che cosa sappiamo di Isis-K, il gruppo terroristico responsabile della strage di militari e civili accalcati all’aeroporto internazionale di Kabul? Si trattava originariamente di uno dei tanti gruppi armati che militavano nell’orbita dei talebani pakistani, da cui si distaccò nel 2014 in concomitanza con la nascita del Califfato in Siria e Iraq al cui leader supremo, il califfo al-Baghdadi, prestò giuramento di fedeltà. Lieto di accogliere nel proprio network globale una formazione che agiva in un’area strategica come l’Asia centrale, il Califfato – noto anche come Stato islamico (Is) – proclamò nel 2015 la nascita di una nuova regione del proprio impero, cui diede il nome di Stato Islamico della Provincia del Khorasan noto nel mondo del controterrorismo con la sigla di Isis-K. Beneficiando dell’aura di successo della propria nuova casa madre siro-irachena, Isis-K attirò tra i suoi ranghi numerosi talebani afghani che, folgorati dall’ideologia estrema dell’Is, abbandonarono le fila del movimento degli studenti coranici, considerato paradossalmente troppo moderato e dunque un nemico da combattere. Nonostante non abbia mai contato più di qualche migliaio di militanti, Isis-K è stato in grado di mettere in seria difficoltà sia l’esercito nazionale afghano sia i talebani mettendo a segno numerosi e sanguinosi attacchi. Ci fu persino un momento in cui l’esercito afghano, le forze Usa e i mujaheddin talebani si coordinarono per cercare di neutralizzare questa minaccia comune. Sebbene sia stato falcidiato dai droni e dagli aerei Usa, il gruppo è stato in grado di mantenere e addirittura aumentare l’intensità dei propri attacchi in Afghanistan: ben 77 nei soli primi quattro mesi del 2021, un numero tre volte superiore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ha potuto inoltre compensare le perdite arruolando da una parte numerosi talebani afghani delusi dalla scelta della propria leadership di negoziare un accordo di pace con gli Stati Uniti e dall’altra svariati foreign fighters confluiti nel frattempo in Afghanistan dai campi di battaglia siro-iracheni. Le stime sull’attuale consistenza del gruppo variano, a seconda delle fonti, da alcune centinaia a diverse migliaia di adepti distribuiti tra la terra di nessuno delle province nordorientali dell’Afghanistan e la capitale Kabul, divenuta bersaglio elettivo dei propri attacchi. Non stupisce, in questo senso, lo spiccato tempismo con cui Isis-K è stato in grado di colpire lo scorso giovedì l’aeroporto internazionale. È dunque chiaro come questa formazione costituisca una minaccia incombente sulla futura stabilità del Paese. Ma anche l’Occidente deve stare in guardia dal momento che Isis-K, a differenza dei talebani, persegue il disegno di un jihad globale che include la promessa di colpire anche in casa nostra. La minaccia è resa ancora più seria dall’ormai dissolto potenziale offensiva degli Usa che in Afghanistan non dispongono più di basi d’appoggio. Resta da sperare che abbia ragione l’Amministrazione Biden nel ritenere sufficienti, per dare continuità all’azione di controterrorismo, le proprie basi nel Golfo Persico e le portaerei

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