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Nuovo corso degli USA nella lotta contro l’IS

Pubblicato il 17/01/2017 - Messaggero Veneto

Dopo mesi di dichiarazioni erratiche da parte di Donald Trump, comincia a delinearsi l’agenda di politica estera della nuova amministrazione americana. Nelle ultime ore, il neo presidente e i suoi più stretti consiglieri come il segretario di Stato Rex Tillerson e il segretario alla difesa James Mattis hanno fornito dettagli significativi sull’approccio dell’America trumpiana ai più delicati dossier internazionali. Se le audizioni nelle rispettive commissioni parlamentari di Tillerson e Mattis hanno fatto intravedere una certa continuità rispetto ad Obama su alcuni caposaldi quali le relazioni con gli alleati, nella conferenza stampa di mercoledì Trump ha fatto delle incisive dichiarazioni che rivelano la sua visione di uno dei grattacapi ereditati dall’amministrazione precedente: il Medio Oriente. Qui la rottura rispetto ad Obama è netta. Trump infatti vede nella lotta allo Stato islamico una priorità, un nodo da affrontare in maniera diretta e più muscolare rispetto a quanto abbia fatto il presidente uscente. L’America deve sconfiggere i jihadisti insediati a Raqqa e Mosul anche perché, secondo Trump, l’Isis è stata “creata dall’amministrazione Obama, che ritirandosi al momento sbagliato ha generato il vuoto dove è cresciuta”. Parole che testimoniano uno stravolgimento rispetto alle posizioni di Obama, più incline a ritenere che lo Stato islamico sia sorto dal ventre di un Iraq stravolto dall’invasione americana del 2003. Secondo Trump invece i clamorosi successi dello Stato islamico sono figli di una scelta poco lungimirante di Obama, che nel 2011 decise di ritirare dall’Iraq l’intero contingente in armi schierato nel Paese. Del “vuoto” che ne è scaturito ne ha approfittato Abu Bakr al Baghdadi, che nella prima metà del 2014 è dilagato con le sue squadracce in un terzo del territorio dell’Iraq mettendo in fuga il gracile esercito di Baghdad. A questo errore, Trump intende porre rimedio rapidamente, con un impegno più deciso da parte dell’America e, particolare significativo, con l’aiuto di Vladimir Putin. Sembra volgere al termine, quindi, l’era del “leading from behind” inaugurata da Obama, in cui gli Stati Uniti affrontavano le crisi delegando agli alleati il lavoro sporco e limitandosi a fornire loro un sostegno con l’aviazione o l’intelligence. Come anche la nomina al Pentagono del generale a quattro stelle Mattis, soprannominato “cane pazzo”, sembra confermare, parrebbe chiudersi la fase dell’America riluttante, che per esplicita volontà di Obama aveva ripudiato l’interventismo di Bush e fatto del motto “non fare stupidaggini” la chiave di volta della propria politica estera. Tutto sembra indicare perciò che dal 20 gennaio, giorno dell’insediamento di Trump, si inaugurerà un nuovo ciclo per gli Stati Uniti, un ciclo in cui l’immagine del “gendarme del mondo” tornerà probabilmente alla ribalta. Nel caso della lotta allo Stato islamico, questa svolta soddisferà quella parte degli americani che guardava con scetticismo all’attendismo di Obama, che ha permesso al gruppo jihadista di mantenere parte delle proprie conquiste per oltre due anni e di segnare un’escalation nell’offensiva terroristica contro l’Occidente. Tra pochi giorni sapremo dunque se lo Stato islamico ha davvero le ore contate e se il mondo ritroverà quegli Stati Uniti che per oltre mezzo secolo sono stati la nazione “indispensabile” per risolvere i problemi che lo attanagliano.
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