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Quando in Castello l’ideologo di Putin tenne un convegno

Pubblicato il 23/08/2022 - Messaggero Veneto

La memoria del cronista è lunga. Ci sovviene così quel pomeriggio di sabato 15 giugno 2019 quando, nella prestigiosa cornice del Salone del Parlamento del Castello di Udine, fu invitato a parlare Aleksandr Dugin, il politologo e filosofo russo universalmente considerato l’ideologo di Putin e miracolosamente scampato a Mosca ad un attentato dai contorni poco chiari. L’iniziativa si inseriva nell’ambito del convegno “Identitas: uguali ma diversi” organizzato dall’eccentrico filosofo friulano Emanuele Franz e patrocinato dal Comune di Udine. Visto col senno di poi, appare una follia aver invitato un pensatore formatosi sui libri del protofascista Julius Evola, redattore di quotidiani di estrema destra e fondatore nel suo Paese del partito nazional-bolscevico presto sciolto per le sue idee estreme anche per la Russia. Un uomo che nella sua feconda produzione letteraria non ha mai celato la visione, molto affine a quella dello zar, di uno scontro finale tra l’Occidente patria del liberalismo e dell’individualismo dei diritti umani e una Russia euroasiatica considerata autentica custode dei valori della tradizione e quindi detentrice di una missione da compiere in quanto “Terza Roma” antagonista di quella che lui chiama “l’eterna Cartagine”. Ma il mistero di questo invito balzano si fa meno fitto quando scopriamo che Dugin ha agito come cerniera e mediatore tra il suo Paese e i partiti di estrema destra di mezza Europa, in un ruolo che lo vide protagonista anni addietro di un niente affatto misterioso endorsement a Matteo Salvini. Nel 2018, all’epoca della formazione del governo gialloverde, di cui Salvini era uno degli azionisti, Dugin formulò la sua benedizione: “ha vinto Salvini, che con le sue felpe e le sue magliette ha contributo a far smettere di demonizzare il populismo”. Non ci si riesce a capacitare di come Palazzo D’Aronco abbia potuto mettere il proprio cappello su un evento dedicato ai temi dell’identità in cui figurava come relatore di primo piano un pensatore reazionario che oggi, guarda caso, nega strenuamente il diritto all’identità del martoriato popolo ucraino e profetizza la rivitalizzazione di sentimenti imperiali all’interno della Federazione russa. Non abbiamo ragione di dubitare che se il convegno si tenesse oggi gli organizzatori sarebbero ben più prudenti. Resta l’ombra di aver steso il tappeto rosso a un uomo che, con le sue idee fomentatrici di odio camuffate da pensiero filosofico, si è ritagliato la sua fetta di responsabilità nelle atrocità commesse da Putin.

Messaggero VenetoRussiaUdine
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