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Cittadinanza dopo 5 anni di scuola

Pubblicato il 02/07/2022 - Il Piccolo

È approdata in Aula a Montecitorio la proposta di legge sul cosiddetto ius scholae. Il provvedimento mira a modificare in parte i termini di acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei minori stranieri, un esercito stimato dall’Istat in oltre un milione di persone ad oggi prive dei diritti di cui godono i loro coetanei italiani. A qualificare la proposta di legge incardinata alla Camera è l’idea che un minore straniero nato in Italia o arrivatovi entro il dodicesimo anno di età maturi il diritto alla cittadinanza nel nostro Paese dopo aver frequentato un intero ciclo scolastico, dunque per almeno cinque anni. La legge proietta in primo piano un tema più volte tornato al centro del dibattito politico, quello delle seconde generazioni di immigrati e della loro peculiare identità culturale. Esiste un’intera letteratura sociologica e antropologica internazionale che attesta come, salvo alcune eccezioni, i figli degli immigrati acquisiscono precocemente la cultura e il sistema di valori del Paese ospitante al punto di essere per nulla diversi dai loro compagni di scuola, di squadra e di gioco. L’attuale sistema li condanna ad attendere la maggiore età per fare domanda di cittadinanza italiana, che viene concessa solo dopo una lunga attesa e rispettando alcune stringenti condizioni come la continuità del soggiorno in Italia. Questa è una materia su cui era intervenuta senza successo la precedente legislatura, che approvò in un ramo del Parlamento una riforma analoga ma non trovò poi i voti al Senato anche per la controversa scelta dell’allora governo presieduto da Paolo Gentiloni di non cercare il voto di fiducia. Eravamo nel 2017 e da allora il problema è rimasto insoluto: esiste una folta schiera di “nuovi italiani” nei fatti ma non per condizione giuridica con conseguente esclusione da tutta una serie di benefici che i ragazzi nativi danno per scontati. I casi più evidenti e che attirano periodicamente l’attenzione dell’opinione pubblica sono quelli dei giovani che, per via di tale limitazione, non possono partecipare alle competizioni sportive indossando i colori della Nazionale. Questo è solo uno dei tanti esempi di una disparità di trattamento che non può essere accettabile in una società multietnica e che dunque ha bisogno di ripensare profondamente principi come quello dell’uguaglianza. Malgrado l’evidenza del fatto, la politica appare ancora divisa. Dalle file della composita maggioranza che sostiene il governo Draghi si è sfilata la Lega, che già nella passata legislatura si era distinta per una fiera battaglia identitaria contro l’approvazione di quello che tutti all’epoca chiamavano ius soli. Anche dalla solitaria opposizione di Fratelli d’Italia si promette battaglia. Le attuali fibrillazioni che caratterizzano la vita dei partiti di maggioranza inoltre non fanno sperare in una mobilitazione compatta o in una facile composizione delle divergenze. La sorte di quel milione di non cittadini che parlano la lingua di Dante e in casi non rari le lingue locali è dunque ancora una volta appesa un filo.

Il Piccoloseconde generazioni
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