Il summit del G7 di Elmau in Baviera si è concluso con uno sfoggio di unità quanto alla necessità di isolare e sanzionare la Russia di Putin ma anche con un impegno rinnovato a sostenere le infrastrutture nei Paesi in via di sviluppo anche, se non soprattutto, in chiave anticinese.
Il G7 fa quadrato sull’Ucraina
L’invasione dell’Ucraina ha naturalmente monopolizzato, per gran parte del vertice, l’attenzione dei leader che su questo punto hanno confermato la loro compattezza. Stando alla dichiarazione “in sostegno dell’Ucraina” emessa dal consesso, i sette Grandi si sono impegnati ad appoggiare gli sforzi dell’Ucraina “per tutto il tempo che sarà necessario”, in un’eco – come ha rilevato tra gli altri anche Politico – del famoso “Whatever it takes” draghiano.
Al vertice in realtà non sono emerse sostanziali novità circa ulteriori sanzioni da infliggere alla Russia salvo la necessità di adoperarsi per la ricostruzione economica e infrastrutturale dell’Ucraina attraverso la realizzazione di un’apposita piattaforma e di un fondo di solidarietà.
Troppo poco, si chiede l’Ispi nel suo bollettino dedicato al vertice? “In realtà”, è la risposta che fornisce l’Istituto di politica internazionale di Milano, “era difficile aspettarsi molto di più in questo momento a livello economico”, dato che “le sanzioni emesse finora dai Paesi G7 sono già piuttosto ampie”.
Il price cap sul petrolio e sul gas
Piuttosto ambiziosa, anche se per ora rimasta sotto forma di proposta, l’idea di valutare un tetto al prezzo del petrolio e del gas russi. Spetta a Mario Draghi il merito di aver allargato al gas un meccanismo che vedeva favorevoli gli Stati Uniti e molti alleati solo per quanto riguarda il greggio. Sta di fatto che nelle conclusioni del vertice due paragrafi sono dedicati ai “price cap” su petrolio e gas.
“Esploreremo ulteriori misure per impedire alla Russia di approfittare della sua guerra di aggressione”. “Cercheremo”, continua il testo, “di sviluppare soluzioni che realizzino i nostri obiettivi di ridurre le entrate russe dagli idrocarburi, e sostengano la stabilità dei mercati globali dell’energia, minimizzando al contempo gli impatti economici negativi”.
I sette leader hanno quindi dato mandato ai ministri competenti di “valutare la fattibilità e l’efficienza di queste misure”. Fonti bene informate, come quelle del Foglio, precisano che i negoziati sui “price cap” sono “più avanzati” sul petrolio che sul gas. Resta infatti da risolvere una residua resistenza della Germania, mentre, sempre sul petrolio, c’è la grande incognita della risposta dell’Ungheria di Viktor Orbán.
Ad ogni modo, circa il petrolio, il linguaggio del comunicato finale è esplicito, come dimostra il passaggio in cui il G7 palesa l’intenzione di limitare tutte le esportazioni marittime di greggio russo “a meno che non venga venduto al di sotto di un certo prezzo definito in consultazione con partner internazionali”.
La risposta del G7 alla Belt and Road cinese
Su un altro versante il G7 di Elmau ha inteso fornire una risposta all’altezza della sfida posta dal maxiprogetto cinese del Belt and Road. È stato annunciato un investimento di 600 miliardi di dollari da destinare alla realizzazione di progetti infrastrutturali nei Paesi emergenti anche per favorire la transizione energetica nelle nazioni con limitate capacità finanziarie progettuali.
In realtà, come nota ancora l’Ispi, quella cospicua dotazione costituisce, a ben vedere, un “collage” di risorse già stanziate. Al suo interno troviamo infatti i 300 miliardi del cosiddetto Global Gateway, ossia la strategia lanciata l’anno scorso dalla Commissione Ue per mobilitare investimenti in connettività e infrastrutture soprattutto attraverso l’intervento di banche di sviluppo come la BEI e la BERS.
Ai fondi europei si aggiungono poi i 200 miliardi promessi dagli Usa al G7 dell’anno scorso nell’ambito dell’iniziativa Build Back Better World (B3W). I 100 miliardi rimanenti dovrebbero invece essere garantiti dagli altri membri del Forum.
A Elmau è stato comunque chiarito che questo è solo il primo passo: altre risorse saranno mobilitate attraverso istituzioni finanziarie multilaterali, banche nazionali di sviluppo e fondi sovrani. C’è infatti da contrastare una capacità di spesa da parte della Cina nell’ambito della Bri che veleggia intorno ai mille miliardi di dollari.
In Baviera il Presidente Usa Biden ha illustrato numerosi progetti destinati ad essere finanziati dagli Usa, come quello sull’energia solare in Angola, dal valore di due miliardi di dollari, che vedrà agire in sinergia il Dipartimento del commercio, la U.S. Export-Import Bank e alcuni partner privati.
Compatti di fronte alle sfide globali
Di fronte alla duplice sfida dell’aggressione russa all’Ucraina e dell’espansionismo cinese nei Paesi in via di sviluppo, questo G7 ha dimostrato di saper batter un colpo.
Rendendo più vicino l’obiettivo dei “price cap” sul gas e petrolio russi, si è trovato un ragionevole compromesso tra falchi e colombe, tra Paesi che premono sull’acceleratore e altri più preoccupati delle ricadute sulle proprie economie.
Ma è con lo stanziamento di 600 miliardi di dollari in progetti infrastrutturali che il G7 si è sforzato di mostrare il suo vero volto, quello di un blocco delle democrazie che si oppone anche con i fatti alle mire globali della Cina.