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La famiglia Regeni: “delusi dai docenti di Cambridge”

Pubblicato il 09/06/2016 - Messaggero Veneto

Un sospetto aleggia sulla missione degli inquirenti italiani del caso Regeni a Cambridge: che una parte dell’agognata verità sia alla fine venuta fuori. Non ci riferiamo alla morte del povero Giulio. Il suo corpo martoriato è un documento inoppugnabile delle responsabilità egiziane sulla sua fine atroce. Ci riferiamo invece alle circostanze che hanno portato all’inserimento di Regeni tra i sorvegliati speciali del regime. Era per appurare queste circostanze, i contatti, le relazioni intessute da Giulio nel paese delle Piramidi, che gli investigatori italiani si erano decisi a compiere una trasferta in Gran Bretagna. Alla procura di Roma era parso opportuno ascoltare quel che le autorità accademiche di Cambridge avessero da dire in merito alla rischiosa ricerca affidata al giovane ricercatore di Fiumicello. Cambridge tuttavia ha preferito trincerarsi nel più assoluto silenzio. «Non rilascio dichiarazioni alle autorità italiane», avrebbe risposto in particolare Maha Abdelrahman, la supervisor della tesi di dottorato di Giulio. Un simile atteggiamento è sospetto per più di un motivo. Non solo perché la Abdelrahman è egiziana ed è una nota oppositrice del regime di al-Sisi. Scegliendo di non collaborare, Adbelhrahman ci ha negato inoltre l’opportunità di venire a conoscenza dell’intera cornice dell’indagine che Giulio stava conducendo in Egitto. Sarebbe stato utile infatti sapere quali soggetti fossero stati segnalati a Regeni per raccogliere i suoi dati, essendo noto che l’argomento prescelto – i sindacati indipendenti – rappresenta materia incandescente in un Paese che ha serrato i ranghi e le cui autorità vedono nemici dappertutto, particolarmente in quegli spazi come il sindacato in cui si annida l’opposizione al regime. Considerati i pericoli cui si sarebbe esposto Giulio, sarebbe stato interessante apprendere dalla sua tutor il perché della scelta di un metodo d’indagine, la Participatory action research, che prevede la partecipazione diretta alle dinamiche interne delle organizzazioni sotto osservazione. Una metodologia che esponeva fatalmente Regeni al rischio di essere individuato dagli apparati di sicurezza del regime e, con tutta probabilità, confuso con una figura diversa da quella del ricercatore. Tutti questi elementi non sono dettagli, perché possono aiutare a far luce sul percorso che ha condotto Giulio verso il baratro e una sorte infame. Ecco perché la procura di Roma non dovrebbe demordere e tornare alla carica con le autorità accademiche di Cambridge e con Abdelrahman in particolare. Queste ultime, dal canto loro, non possono rimanere indifferenti di fronte alle pressanti richieste dei genitori di Giulio. «Non lasciateci soli, parlate e rompiamo il silenzio», ha affermato Paola Deffendi in un appello a quella comunità scientifica cui chiede di «avere il coraggio di recuperare la dimensione etico-morale della ricerca». La dimensione etico-morale della ricerca è incompatibile con la segretezza. Quest’ultima è l’antitesi della libera ricerca, che richiede la massima trasparenza tanto nella scelta degli obiettivi di un’indagine quanto in quella dei metodi con cui si intende condurla. Per questo motivo noi friulani, e gli italiani tutti, ci attendiamo che Cambridge faccia la sua parte nella ricerca della verità su Giulio Regeni.

 

Gran BretagnaMessaggero VenetoRegeni Giulio
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