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Ecco perché ora siamo un bersaglio

Pubblicato il 20/08/2017 - Messaggero Veneto

L’assalto proditorio alla Rambla, e le circostanze in cui è maturato l’attentato, impongono al nostro Paese alcune riflessioni. Il terrorismo jihadista, anzitutto, colpisce ovunque: anche Stati che, come la Spagna, non hanno una politica estera muscolare in Medio Oriente. Se la logica soggiacente agli assalti degli ultimi tre anni era quella della rappresaglia contro le nazioni impegnate nella coalizione anti-Isis messa in campo nel 2014, questo non valeva per Madrid il cui esercito, in Iraq, svolge solo compito di addestramento. Ma evidentemente tanto basta, per i tagliagole e i loro simpatizzanti, per ordire piani letali e seminare la morte tra i civili inermi. Ecco perché l’Italia, che in Iraq ha schierato un migliaio di uomini con compiti analoghi a quelli degli spagnoli, deve ricavare dal blitz terroristico di giovedì una lezione. Anche noi siamo potenziali bersagli. Il nostro Paese è obiettivo appetibile per svariate ragioni, non ultima la presenza di un target simbolico come la capitale della cristianità. Nella logica della propaganda jihadista la Spagna è al Andalus, territorio islamico per sette secoli. L’Italia è invece la culla di una fede che, a dispetto della cultura irenica che promana dal trono di Pietro, sarebbe in prima fila nello scontro di civiltà che gli islamisti più convinti ritengono sia in pieno svolgimento. Un altro motivo per cui non possiamo abbassare la guardia traspare dai dati forniti dal Viminale in questi giorni, che evidenziano come la minaccia jihadista sia incombente sebbene attentamente monitorata dalle nostre istituzioni. Le unità antiterrorismo nei primi sette mesi di quest’anno hanno effettuato controlli mirati su ben 190.909 persone, una cifra tre volte superiore rispetto a quella registrata nello stesso periodo del 2016. 65.878 invece i veicoli ispezionati, contro i 19.639 dell’anno precedente. Gli estremisti islamici espulsi per motivi di sicurezza quest’anno sono stati 67, contro i 37 dell’intero 2016. Sono cifre rilevanti, che da un lato ci rassicurano – la guardia delle nostre autorità è alta – ma dall’altro mettono in luce un pericolo che, se non imminente, è da ritenersi grave. Il livello di allerta è d’altronde da tempo fissato alla soglia appena sotto quella che scatta in caso di attacco in corso. L’Italia può ritenersi insomma fortunata, vuoi perché abbiamo forze dell’ordine efficienti, vuoi perché il nostro territorio è stato sinora risparmiato da flagelli come quelli abbattutisi nelle città europee dall’avvento dell’Isis. Resta il problema comune a noi e ai nostri partner continentali. La minaccia jihadista ha assunto forme che la rendono capace di sfuggire alle maglie dei controlli. Il duplice volto degli imprevedibili lupi solitari, come quello entrato in azione l’altro ieri in Finlandia, e delle cellule organizzate come quella che ha colpito Barcellona moltiplicano gli sforzi necessari per un’efficace prevenzione. Resta attuale perciò la massima di Stefano Dambruoso, valente magistrato antiterrorismo: dobbiamo sperare che le nostre autorità siano sempre in grado di intervenire “un istante prima” che si verifichi il peggio.

IsisjihadismoMessaggero VenetoSpagna
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