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Lo smacco a von der Leyen: il grande gelo Ue-Turchia

Pubblicato il 10/04/2021 - Il Piccolo, Messaggero Veneto

Il cosiddetto Sofagate ha generato un animato dibattito sullo sgarbo riservato dal presidente turco Erdogan alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Come tutti hanno capito, non riservare una poltrona alla numero uno della Commissione lasciandola in piedi sbigottita non è stato un errore di protocollo, ma un incidente cercato e consapevole. L’immagine plastica della Von der Leyen seduta infine su un divano a debita distanza da Erdogan e dall’altro interlocutore, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, fotografa meglio di qualsiasi discorso lo stato delle relazioni tra Unione europea e Turchia. Relazioni che erano un tempo promettenti al punto da immaginare un imminente ingresso della Turchia nell’Ue, ma che la lunga gestione del potere di Erdogan ad Ankara ha fatto progressivamente logorare. Oggi Turchia e Ue sono su fronti opposti in diversi e strategici dossier. C’è innanzitutto la questione delle risorse energetiche giacenti nei fondali marini del Mediterraneo orientale che la Turchia vuole accaparrarsi ai danni degli interessi di Cipro e Grecia; c’è la questione della Libia, dove Erdogan è intervenuto militarmente e si è conquistato spazi che vanno a scapito degli altri attori presenti in quell’area. Con i suoi comportamenti burrascosi e erratici, Erdogan inoltre ha più volte destabilizzato una regione fondamentale come il Medio Oriente: ricordiamo tutti, tra le altre cose, il proditorio attacco di due anni fa contro il Nordest della Siria amministrato dalla minoranza curda che ha destato l’indignazione di tutto l’Occidente. Più recentemente, poi, il Sultano di Ankara non si è fatto scrupolo di fornire assistenza militare all’Azerbaigian nel conflitto con l’Armenia. Come se non bastasse, la Turchia ha lasciato deteriorare le relazioni con il maggiore alleato dell’Unione europea, gli Stati Uniti, attraverso una serie di mosse spregiudicate, come l’acquisto di un sofisticato sistema di difesa antimissilistica dalla Russia di Putin. Tutti questi comportamenti non sono rimasti senza conseguenze. Gli Usa hanno espulso la Turchia dal programma Joint Strike Fighter dedicato alla realizzazione del più potente cacciabombardiere esistente al mondo, il famoso F-35. E in Europa nessuno accenna più a riavviare il negoziato con Ankara per la sua adesione all’Ue, un’opzione impensabile nel momento in cui in Turchia lo stato dei diritti umani e della democrazia è ormai ai minimi termini e il Paese si permette persino di ritirarsi dalla Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nonostante fosse stata firmata proprio a Istanbul. Questo è lo sfondo che ci aiuta a capire l’affermazione apparentemente inopinata di Mario Draghi che in conferenza stampa non ha esitato a definire Erdogan un dittatore. Lungi dall’essere parole dal sen sfuggite, quelle di Draghi riflettono la percezione diffusa di un Paese inaffidabile e dunque isolato, che può solo togliersi la soddisfazione di umiliare i propri ospiti europei durante una visita di Stato.

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