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Il modello di sanità che aiuta Israele a vincere la sfida delle vaccinazioni

Pubblicato il 05/02/2021 - Il Piccolo

Mentre in Paesi come l’Italia i piani di vaccinazione procedono a rilento, c‘è una nazione che ha dimostrato un’efficienza straordinaria nell’immunizzare la propria popolazione. Stiamo parlando di Israele che già dopo poche settimane aveva somministrato il siero a due milioni di persone e che addirittura prevede di vaccinare tutti i cittadini sopra i 16 anni entro la fine di marzo. Qual è il segreto di questo successo? Non c’è solo il fatto che lo Stato ebraico sia stato tra i primi al mondo ad avviare la propria campagna iniziata il 19 dicembre, in parallelo con Stati Uniti e Gran Bretagna. Il primo fattore alla base di questo risultato è stato l’attivismo del primo ministro Benjamin Netanyahu il quale, trovandosi in campagna elettorale, si è adoperato in prima persona nell’approntare il piano vaccinale: è stato lui a gestire i rapporti con le aziende farmaceutiche Pfizer e Moderna per assicurarsi una rapida e consistente fornitura nel momento in cui la domanda era elevatissima. Ed è stato sempre lui il testimonial della campagna facendosi inoculare in diretta tv la prima fiala. In cambio di questo trattamento preferenziale, che continua tutt’oggi con la spedizione di centinaia di migliaia di dosi a settimana, Netanyahu ha accettato che Israele fungesse per i produttori come un vasto laboratorio in cui monitorare l’efficacia dei propri ritrovati. In base all’accordo stipulato con Pfizer, Israele trasmetterà tutte le informazioni sulle risposte al vaccino da parte dell’intera popolazione. Ma l’eccezionale performance israeliana parte da lontano e, più che alla tempestività nell’assicurarsi la materia prima, rimanda al modello di sanità territoriale sviluppato lungo l’intero arco della storia del Paese. In parallelo al circuito degli ospedali, esiste infatti in Israele una fitta rete di strutture semipubbliche a base cooperativa a cui i cittadini possono far capo per tutta una serie di prestazioni riconosciute dal sistema sanitario nazionale. La ramificazione di questi centri sull’intero territorio e la loro flessibilità hanno fatto sì che Israele si ritrovasse a disposizione un efficiente apparato organizzativo pronto a farsi carico di tutti gli aspetti logistici della nuova sfida. Ma la straordinarietà di questa impresa, resa ancor più evidente dallo stato di emergenza di un Paese stretto nella morsa del più duro dei lockdown, si spiega con un fattore a monte, e cioè la forte coesione sociale del popolo israeliano forgiata nei settanta difficili anni di vita del loro Stato, accerchiato da nemici interni ed esterni. La resilienza che ne è derivata si è potuta così proiettare sia nella complessa gestione della pandemia sia nella campagna vaccinale. Resta tuttavia un’ombra sull’intera operazione ed è l’esclusione dei palestinesi residenti in Cisgiordania e a Gaza, oggetto di un preoccupato appello da parte dell’Oms. A questa critica Israele ha parzialmente risposto questa settimana distribuendo 5.000 dosi per il personale sanitario che opera in quei territori. È un primo segnale cui si spera ne seguano altri più significativi

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