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La matrice islamica non c’entra con la rivolta

Pubblicato il 06/07/2023 - Messaggero Veneto

Dopo cinque giornate di violenze, saccheggi e devastazioni, la rabbia dei giovani francesi sembra essersi placata. È dunque tempo di bilanci per una rivolta che ha sconvolto l’intero Paese mettendo nell’angolo le istituzioni e lo stesso Presidente Macron, costretto dall’emergenza a precipitarsi da Bruxelles e poi ad annullare un’importante visita di stato in Germania. Colpisce anzitutto il dato dei fermi di polizia, che sono migliaia. Ma impressiona anche il numero dei feriti tra i quali vanno annoverati i familiari del sindaco di origini friulane di Hay-les-Roses, Vincent Jeanbrun, la cui abitazione è stata attaccata con un’auto-ariete in fiamme. I commentatori francesi e stranieri si sono puntualmente lanciati nella ricerca di spiegazioni di tanta collera. A tutti non è sfuggito il parallelo con le rivolte che nel 2005 misero a ferro e fuoco le banlieue per tre lunghe settimane durante le quali il governo fu costretto ad introdurre, per l prima volta dopo la guerra d’Algeria, lo stato di emergenza. Proprio come allora, i riflettori sono stati puntati sulla grave condizione socioeconomica delle seconde generazioni di immigrati relegati per lo più negli anonimi ghetti delle periferie francesi. Stiamo parlando di giovani e giovanissimi la cui integrazione si è sempre rivelata problematica nonostante il possesso fin dalla nascita della cittadinanza francese. Sono diventati addirittura proverbiali gli scontri tra la polizia e le seconde generazioni al punto di essere immortalate in un film del 1995 scritto e diretto da Mathieu Kassovitz: La Haine (L’odio), Già in quel tempo lontano risaltava, con tutte le sue contraddizioni, la subcultura antagonista dei giovani che abitavano quelli che un sociologo francese ha definito “territori perduti della Repubblica”. Il film cominciava con una metafora: un uomo che, cadendo da un grattacielo, ripeteva ad ogni piano “”Fin qui tutto bene”. Già allora era dunque chiaro come le banlieue fossero una bomba ad orologeria e che sarebbe bastato un semplice innesco per scatenare l’inferno. Cosa puntualmente avvenuta nel 2005 e nei giorni scorsi a seguito di due episodi molto simili che vedevano coinvolta la polizia. Stavolta, tuttavia, c’è stata una novità rappresentata dall’estensione territoriale dei disordini che hanno investito il centro di città come Parigi, Lione e Marsiglia. Sembra essersi venuta a creare così una saldatura tra la rabbia covata sotto la cenere dai giovani di seconda generazioni e l’humus protestatario di un Paese che negli ultimi anni è sceso ripetutamente in piazza, anche attraverso il movimento dei gilet gialli, per contestare il sistema. Dietro la ribellione dei giorni scorsi non c’è dunque solo un fattore, ma un insieme di concause che mantengono il Paese in un equilibrio precario. Hanno dunque torto coloro che, anche in Italia, hanno intravisto dietro questi fatti una matrice islamica. Se è vero infatti che tra i figli degli immigrati è da tempio in atto un revival religioso che li spinge ad abbracciare la religione dei padri con zelo ancora maggiore, è anche vero che non può essere il solo Corano a spigare le origini di tanta rabbia.

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